Premesse sul reale, sui fatti e sul preferibile

Abbiamo visto che l’oratore può scegliere come punto di partenza per le sue argomentazioni solo premesse che l’uditorio accetta come vere o verosimili. Lo scopo dell’argomentazione è l’adesione dell’uditorio alle conclusioni derivanti dalle premesse accordate. Le premesse devono essere dunque accettate e se questo non fosse il caso, la prima preoccupazione dell’oratore deve essere quella di rafforzare l’adesione ad esse. Può accadere che una conclusione opposta alle convinzioni dell’ascoltatore, faccia sì che l’ascoltatore rinunci ad una delle premesse a cui precedentemente aderiva.

Un errore retorico abbastanza comune è la petizione di principio, che avviene quando si vuole dimostrare una cosa inserendo la cosa stessa già nella premessa.

Esistono premesse basate sul reale (fatti e verità) e premesse basate sul preferibile (gerarchie, valori); riguardo le prime si può dire che i fatti sono ciò che l’uditorio considera vero o verosimile, ossia le sue credenze ciò che conta sono le idee dell’uditorio concreto. Anche i fatti possono venire contestati ed in quel caso l’oratore non può più valersene a meno che non riesca a dimostrare che chi si oppone si sbaglia; chi contesta qualcosa di universalmente accettato può essere estromesso dalla discussione tacciandolo come “irrazionale”, pazzo od ignorante l’esempio di Galieli davanti agli inquisitori. In sintesi, nessun fatto e nessuna verità sono sempre garantiti come veri e tutto può essere messo in discussione; in pratica quel che conta è l’opinione comune dell’uditorio: maggiore è l’adesione dell’uditorio ad una tesi, maggiore è la forza della tesi stessa. Un dubbio generalizzato come quello di Cartesio non verrebbe giudicato ragionevole in situazioni “concrete”; esso è accettabile solo in contesti “bizzarri” e filosofici Matrix, in cui il mondo “reale” è in realtà un mondo virtuale.

Wittgenstein, nel suo Della certezza, afferma che certe proposizioni sono esenti da dubbio, come se fossero i cardini sui quali si muovo quelle altre; anche il dubbio più generalizzato deve essere localizzato, perché non si può dubitare su tutto. Queste proposizioni cardine sono per Wittgenstein di due tipi:

  1. le quasi-necessarie, come quelle grammaticali e tra cui il principio di non-contraddizione; sono fra queste, i termini descrittivi come il rosso ed il verde; inoltre la regola della doppia negazione: “se A allora non è possibile non A”;
  2. le quasi-contingenti, come “sono qui in piedi di fronte a voi” che è immediatamente verificabile ed intorno alla quale il dubbio non è ammesso; “questa è la mia mano”, nel momento in cui si mostra la propria mano. Tutte queste ed altre affermazioni sono sempre vere quando si è in un determinato contesto, perché in situazioni ipotetiche o fantascientifiche vi è la possibilità che esse possano essere smentite.
  3. Questi due tipi di proposizioni sono assimilabili a quelli che Perelman chiama “fatti”. Nel momento in cui un individuo diventa padrone del linguaggio e si relazione col suo contesto, egli assume questo sfondo di proposizioni cardine, come se gli fossero state tramandate; per poter distinguere il vero ed il falso, un individuo deve avere in sé questo “sfondo”, come se fossero le regole di un gioco.

    La proposizioni quasi-contingenti sono proposizioni “rigide” che funzionano come una rotaia per le proposizioni empiriche “fluide”, vale a dire che possono essere messe in discussione SULLA BASE di quelle rigide; vale a dire che, accettate come vere ed indubitabili quelle rigide, quelle fluide possono essere discusse. Le proposizioni cardine, rigide, tuttavia, non svolgono questa funzione in eterno e possono diventare fluide; esse col tempo sono suscettibili di cambiamento  ciò che succede durante le rivoluzioni scientifiche. Un medesima proposizione può essere controllata una volta come una proposizione da tratta con l’esperienza, un’altra volta come regola di controllo. Ci sono, tuttavia, delle proposizioni immutabili e considerabili come la roccia di un fiume, che non si smuove mai e su cui si posa tutto il resto; queste proposizioni sono le basi della conoscenza empirica e della logica formale.

    Il mutamento dello sfondo acquisito (e dei fatti che ne fanno parte) può essere risultato consapevole di una critica razionale o è solo qualcosa che avviene e i soggetti coinvolti subiscono? La risposta di Wittgenstein sembra essere la seconda, nel senso che questi cambiamenti non sono suscettibili di critica razionale o arbitraria  nella metafora del fiume, l’acqua scorrendo trascina con sé i detriti e cambia la forma dell’alveo; questo muoversi potrebbe rappresentare le nostre credenze od opinioni oppure le nostre menti razionali.

    Il modo più efficace di contestare un fatto è quello di mostrarne l’incompatibilità con altri fatti od altre verità che si rivelano più certi e “stabili”; il mettere poi in discussione anche quei fatti o quelle verità può portare ad una vera e propria rivoluzione filosofica, scientifica o religiosa.

    Oltre ai fatti, i pensieri e le proposizioni si basano sulle presunzioni, ovvero su qualcosa che è “normalmente vero” o “per lo più vero”; fatti o atti su cui si fa assegnamento fintanto che non vengono contraddetti da altri fatti o critiche, “fino a prova contraria”. Mentre ciò che viene considerato un fatto non necessita di dimostrazione e colui che lo rinnega viene considerato un pazzo, nelle presunzioni colui che ne mette in discussione una ha l’onere della prova, cioè deve dimostrare e dare motivazione del perché vada contro l’opinione comune.

    Vi sono poi le premesse sul “preferibile” e che consistono nell’adesione a certi valori o ideali; i giudizi di questo tipo sono i valori, le gerarchie ed i luoghi del preferibile.

    Di solito i valori sono “per sé”, nel senso che non c’è bisogni di riferirli o paragonarli ad altro: una cosa che si ritiene “bella”, è bella anche se non paragonata a qualcosa di più brutto; tuttavia i valori, essendo qualcosa di soggettivo, sono arbitrari e dunque non possono essere usati in ambito epistemico; d’altronde non c’è possibilità di obiettività od oggettività, poiché ogni gruppo ha i propri valori. Perelman rileva che la verità ha un contenuto obiettivo perché ciò che è vero, è vero per tutti. I valori universali sono tali fintanto che rimangono indeterminati; non appena li si applica ad una situazione concreta, spuntano fuori i disaccordi; i valori universali sono tali proprio in quanto “universali”, nel senso che, ad esempio, la Giustizia è riconosciuta come un valore da tutti; quando poi la si dovrà applicare sul singolo caso concreto, ognuno avrà la propria concezione di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto.

    Vi sono valori astratti (Bellezza e Giustizia) e valori concreti (Francia, Chiesa): i primi riguardano delle idee o degli ideali, i secondi riguardo un oggetto particolare inteso nella sua unicità. L’Illuminismo preferisce i valori astratti, il Romanticismo quelli concreti. Nell’argomentazione non si può prescindere né da valori astratti né da valori concreti, ma di volta in volta essi vengono subordinati gli uni agli altri. I ragionamenti fondati sui valori concreti sembrano caratteristici delle società conservatrici; di contro, quelli fondati sui valori astratti, sono caratteristici delle società rivoluzionarie.

    Vi sono poi le gerarchie, di vari tipi:

    • eterogenee che mettono in relazione valori diversi;
    • omogenee che si fondano sulla quantità relativa ad uno stesso valore.

    Abbiamo infine i luoghi del preferibile (topoi aristotelici); essi sono degli schemi di ragionamento intorno a ciò che vale normalmente riguardo al preferibile. Essi possono essere:

    • comuni, vale a dire affermazioni generalissime intorno a ciò che si reputa valga per tutti;
    • specifici, cioè che valgono solo in certi ambiti.

    Vi sono luoghi della quantità, più egualitari e della qualità, più elitari.

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