Gilbert Ryle – Il concetto di mente – Riassunto

Eccovi di seguito il contenuto schematizzato dei primi quattro capitoli del libro di Gilbert Ryle “Il concetto di mente”.

 

Introduzione: Ryle non tenterà di aumentare le nostre conoscenze ma di rettificarne la geografia logica.

 

1) Il mito di Descartes

 

Ryle inizia la sua argomentazione riportando la “tesi ufficiale” sulla mente, quella da lui chiamata il mito di Cartesio e che nel resto del libro si sforzerà di confutare.

Dottrina ufficiale: il corpo è differente ed opposto alla mente. Il corpo si colloca nello spazio, la mente no;

la mente è un evento privato di cui, almeno in parte, abbiamo una conoscenza diretta.

Queste due parti dell’uomo (il corpo e la mente) sono, in qualche modo, in contatto tra loro grazie ad un processo che non è nè fisico nè mentale. Gli eventi mentali sono, per chi li ha, dotati di una grande sicurezza e rianalizzabili senza nessun organo di senso grazie all’introspezione e alla riflessione, tuttavia le menti non possono entrare in contatto tra loro ma solo i corpi. A rigore non si può neanche essere sicuri che gli altri abbiano una mente.

La mente è nel “mito di Cartesio” uno spettro inconoscibile all’interno di una macchina, il corpo. Questo è quello che Ryle chiama il dogma dello spettro nella macchina; C’è in questo dogma, un errore di base, specificatamente, un errore categoriale. Ryle fa vari esempi per spiegare cos’è un errore categoriale. In uno di questi esempi un bambino portato a vedere marciare una divisione militare vede marciare prima la cavalleria, poi la fanteria e gli altri corpi militari. Al termine della marcia si domanda:”ma quando passa la divisione?”. Egli sta compiendo un errore categoriale.

Anche persone che maneggiano concetti però possono commettere errori categoriali pensando in astratto.

Le differenze tra fisico e mentale sono, per come le consideriamo oggi, all’interno dello stesso quadro comune di categorie: la mente è parameccanica. Non è fisica, non modifica la materia, non crea movimenti. E’ un non orologio. Una macchina spettrale.

Descartes non si chiede in base a quali criteri si distingue il processo intelligente da quello che non lo è ma si chiede quale altro principio causale, visto che la meccanica non va bene, ci rivelerà la differenza? Molti ritengono la psicologia.

In realtà, sempre secondo Ryle, mente e materia non appartengono allo stesso genere logico. Il dogma dello spettro è come il gioco di parole “tornò a casa in un fiume di lacrime e in una portantina”.

Mente e corpo sono due specie diverse di esistenza.

 

2) Sapere come e sapere che

 

Le attività fisiche non sono attività che esprimono quelle mentali. Se descrivo una azione come acuta o curata non faccio riferimento ad un atteggiamento mentale con cui ho eseguito l’azione ma faccio riferimento a delle asserzioni predittive e esplicative controllabili che posso fare o non fare.

Poi il filosofo inglese passa all’analisi dei concetti d’intelligenza partendo anche in questo caso dalla posizione filosofica dominante al tempo e che Ryle vuole confutare ossia la dottrina intellettualistica. Secondo questa dottrina, derivante dai greci, la differenza tra gli esseri umani, gli animali e gli dei sia di formulare e comprendere teorie in maniera rigorosa, quindi che la mente conduca alla conoscenza della verità.

Anche in questo caso Ryle ribalta la tesi: non va definita l’intelligenza in conseguenza dell’apprendimento di verità ma l’apprendimento di verità in conseguenza dell’intelligenza. Molte azioni pratiche sono intelligenti senza essere figliastre del pensiero teorico.

Inoltre siamo soliti considerare i pensieri come silenziosi e privati, questa capacità di pensare privatamente è invece semplicemente una conquista, come la lettura silenziosa.

Quindi (1) fare e conoscere teorie non è l’attività principale della mente (2) le attività mentali non sono un fatto privato.

La riflessione di Ryle continua vertendo sul sapere come e sul sapere che: si è propensi ad appiattire il sapere come sul sapere che. Giudicare che qualcosa è fatta bene significa che essa soddisfa certi parametri ma anche che è fatta da persone responsabili delle proprie azioni —> spesso si dicono frasi come “lui pensa a quello che fa”, come se prima ci fosse il pensiero e poi l’applicazione di esso.

Ma allora l’umorismo, il gusto estetico? Chi ragionava prima delle regole del ragionamento di Aristotele?

L’obiezione fondamentale è che in questo modo si avrebbe, nel giudicare intelligente o meno un’azione, un regresso all’infinito. Consideri intelligente una azione-consideri intelligente la considerazione…..

Perchè questa idea, così lontana dall’esperienza, della necessità di fare due operazioni distinte? E’ colpa della pervasività del dogma dello spettro: poichè un’azione non può essere giudicata in quanto movimento di corpi, va giudicata come operazione mentale. Se un pappagallo ripete una battuta non diciamo che è simpatico, quindi deve esserci un qualcosa al di là del fisico con cui diciamo simpatico: la mente.

In realtà parliamo semplicemente di abilità o disposizioni. E’ l’esercizio di una abilità che ci fa darne giudizio d’intelligenza.

Anche in alcuni modi di dire si manifesta la persuasività del dogma dello spettro. Ad esempio l’espressione “in testa”. Spesso si usa “in mente” invece di “in testa” e questo va a confermare l’esistenza di spettri che si aggirano nella mente. In realtà in testa si hanno suoni immagini come si ha il rollio di una nave nelle gambe.

Inoltre, si può imparare a giocare a scacchi senza nozioni teoriche. Tutti abbiamo imparato così il nascondino. Si può conoscere tutte le regole grammaticali dell’italiano senza saperlo parlare come uno nato in Italia.

Si può avere la tentazione di descrivere queste abilità come frutto dell’abitudine. Fare le scale lo è ma scalare una montagna è una abilità e mentre si scala lo si fa intelligentemente se si modificano le azioni in base a quelle che le precedono. Quando agisce in maniera intelligente l’agente sta ancora imparando. L’abitudine viene dall’addestramento, l’intelligenza dall’istruzione.

 

Esistono disposizioni semplici come fumare o essere fragile. Essere fragile significa rompersi facilmente se urtati. Il modello di “essere fragile è sempre lo stesso”. Ma per altri concetti disposizionali non è così; si può arrivare fino a possibili infiniti modelli, è il caso delle disposizioni umane di ordine superiore. Molti studiosi ritengono che se sapere e credere di solito sono utilizzati in modo disposizionale allora è sempre questo il modello.

 

L’esercizio dell’intelligenza: per giudicare intelligente o no l’attività di qualcuno bisogna oltrepassare l’azione. La nostra analisi non verterà su cause (tantomeno occulte) ma sulle abilità, capacità, tendenze, abitudini, inclinazioni. Usiamo “intelligente” riferito a qualcuno o qualcosa se sono vere certe proposizioni condizionali. ll “sapere come” è una disposizione ma non a senso unico. Sono attività in cui si APPLICANO REGOLE o CANONI ma non doppie operazioni (prima mentali e poi corporee).

Espressioni come “pronto”, “in guardia”, “attento” si riferiscono per metà a disposizione e per metà ad avvenimenti.

Ragionare in maniera intelligente ha come proprietà fondamentale quella di ragionare in maniera logica ma non si pensa a ragionare in maniera logica; non si citano le formule di Aristotele.

La mente non è un luogo nemmeno metaforicamente, la scacchiera, l’auditorium sono i luoghi della mente.

Se sosteniamo lo spettro nella macchina la comprensione è una specie di rabdomanzia: attraverso comportamenti visibili si indovinano gli spettri. Quando applichiamo predicati mentali in realtà consideriamo un comportamento pubblico.

Per rettificare la teoria della comprensione, che all’interno della teoria dello spettro nella macchina è molto complicata, si utilizza l’analogia, ossia: poichè io conosco il processo che porta in me dallo spettro all’azione manifesta ipotizzo che per analogia ciò dovrebbe avvenire anche nell’altro. Questa teoria seppur fallace ha il merito di eliminare la causalità della psicologia.

I sostenitori di questo dogma risolverebbero questo problema se ammettessero che gli stili e le procedure dell’attività delle persone COSTITUISCONO il modo in cui le loro menti operano e non sono il riverbero di operazioni spettrali.

L’argomentazione di Ryle continua trattando della conoscenza parziale e del fraintendimento, sostenendo che lo spostamento dell’attenzione dal “sapere che” al “sapere come” risolve molti problemi riguardo questo: non si può dire che una persona conosce solo in parte “il sapere che” di qualcosa se non intendendo che sa solo una parte di un argomento (insomma, o sai o non sai che la Puglia è una regione italiana, non puoi saperlo in parte. Puoi sapere quali sono una parte delle regioni italiane). Si può invece conoscere solo in parte un “sapere come”, una abilità (conosco come si gioca a scacchi, un campione lo conosce meglio). Imparare come fare qualcosa non è uguale a imparare qualcosa. Il primo è un processo il secondo una quasi immediatezza.

Solo chi sa come si gioca a carte può fraintendere il piano di gioco dell’avversario. L’errore è comunque l’esercizio di una competenza. I primi 10 movimenti in una partita possono essere identici ad altri 10, anche il fraintendimento può essere acuto o stolto; manca di accuratezza solo nell’essere prematuro. E’ questa l’abilita nella simulazione (il bluff, la finta).

Capire cosa una persona sta dicendo o le mosse di una partita di scacchi non vuol dire risalire alla mente dell’altro, piuttosto, seguirla.

Esistono fenomeni privati (l’oculista non saprà mai che lettere vedo se non le dico) ma le immaginazioni e le sensazioni sono di gran lunga il campo meno importante in cui si manifestano l’intelligenza e il carattere.

 

3) La volontà

 

E’ un concetto artificiale ormai inutile come il “flogisto” nella chimica.

La teoria tradizionale sostiene che c’è oltre l’azione un processo ulteriore detto volizione che succeduta da un altro processo di attuazione da origine all’azione.

1) Nessuno descrive mai queste volizioni; “alle 8 ho avuto sei volizioni” ad esempio, è una frase assurda.

2) Le persone non solo possono ma devono sapere cosa vogliono o hanno voluto. Tuttavia non si riesce a rispondere a semplici domande come “quando hai avuto l’ultima volizione?” “Per quanto tempo?”

3) Non possiamo considerare nè comprendere le volizioni altrui. Esse sono state introdotte proprio per spiegare le azioni, esigenza che invece non riescono a soddisfare

4) Regresso infinito: Se applico la volizione ad eventi fisici la devo applicare anche ai processi mentali ed alla stessa volizione. E’ volontaria la volizione?

Inoltre, continua Ryle, come la volizione diviene movimento fisico è oscuro. Spesso la si scambia con la scelta di una decisione ma essa spesso non avviene dopo un momento di indecisione.

Il testo di Ryle prosegue trattando gli attributi “volontario” e “involontario”: ci domandiamo se un’azione è volontaria o involontaria solo nei casi in cui discutiamo di una colpa (una persona durante l’opera si mette a ridere. Lo ha fatto apposta o no? E’ volontaria o no la sua risata?) .

Ma i filosofi l’hanno estesa a tutti i casi. nell’uso quotidiano volontario vuol dire evitabile (risata volontaria, la potevi evitare) ed involontario inevitabile (lo starnuto è inevitabile). I filosofi la estendono impropriamente. Da questo errore le assurde riflessioni sul libero arbitrio.

Bisogna, per il filosofo inglese, eliminare l’idea di un processo spettrale separato. Se un ragazzo sbaglia a fare un nodo bisogna considerare se ha le capacità per farlo (abilità manuale, concentrazione) e quindi è un errore volontario o se invece non le ha e  l’errore è quindi involontario. Questa verifica avviene attraverso frasi ipotetiche e non dal confronto con la volontà mentale.

Il motivo per cui si è parlato di volontà come di uno spettro è stata la paura di difendersi dalle leggi meccaniche, in realtà non ce ne è assolutamente bisogno. Il giocatore di biliardo è sottoposto alle leggi meccaniche, e dunque? E’ per questo meno libero?

 

4) Emozioni

Ryle inizia trattando umori, sentimenti, inclinazioni (moventi) e turbamenti. Solo i sentimenti sono eventi gli altri sono propensioni e non atti o stati.

 

Sentimenti e inclinazioni: Ryle considera sentimenti ciò che viene di solito descritto con termini come fremito, brivido, scossa, palpito, dolore….

Si utilizzano espressioni identiche per le sensazioni. Ryle crede che essi siano disposizioni. Si compie un atto vanitoso perchè si è vanitosi. I critici del filosofo inglese obietteranno che “vanità” ha anche un significato attivo: se una persona è vanitosa compie un atto di vanità quando attiva da un impulso (spettro) la sua inclinazione.

In realtà questa teoria (ancora una volta dello spettro) è falsa. Il caso della vanità è simile al caso di un bicchiere che si rompe: si è rotto o (1)perchè è stato colpito da una pietra oppure (2)si è rotto perchè era fragile, quando la pietra l’ha colpito.  Ryle propende per la seconda  tesi (proposizione ipotetica generale legiforme) in quanto con la prima tesi non si potrebbe sapere nulla di questi impulsi, sarebbe difficile persino parlarne ed inoltre ritiene che molte azioni siano spiegate da abitudini: esse sono disposizioni e non impulsi. Se fosse vera l’idea dell’impulso o del palpito di vanità l’individuo sarebbe il primo ad accorgersi di essere vanitoso mentre di solito è l’ultimo. Inoltre se si indaga sul perchè di una certa azione di rado si domanda ma hai sentito un fremito o un impulso?

 

Inclinazioni e turbamenti: i turbamenti non sono moventi, essi sono violenti. Sono turbamenti: agitazione, disturbo, distrazione, turbamento. Spesso soltanto essi sono considerati emozioni. I turbamenti sono un conflitto di moventi e inclinazioni inibite. Chi le prova ha reazioni che non controlla, non sono intenzionali. Termini come amore, voglia, desiderio possono essere sia inclinazioni che turbamenti.

 

Umori: felice, allegro, depresso. Sono di breve durata, se diventano costanti diventano costitutivi del carattere. Come il tempo atmosferico non può essere piovoso e soleggiato nello stesso momento così non si può essere allegri, tristi e felici contemporaneamente.

Sbagliando li si considera sentimenti sia perchè 1) tendiamo a categorizzare ogni espressione umana o come sentimento o  come volontà o come pensiero e 2)perchè spesso si usa il verbo sentire per esprimerli.

 

Sentimenti e turbamenti: Si assomigliano. I sentimenti non sono come le inclinazioni ma sono simili alle sensazioni: per entrambi applichiamo un’ipotesi causale errata. I sentimenti non possono infatti servire da spiegazione ad una fitta. Essi sono anzi causati da una volontà inibita.

 

Piacere: si usa in due sensi. Come godimento: gode a scavare (non sono due attività differenti:da una parte fisica si scava/ da un’altra parte (“in mente”) si gode), ossia il suo scavare è la realizzazione di una propensione. Oppure viene inteso come gioia, diletto o trasporto ed in questo caso sono nomi di umori che significano turbamento.

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