BOCCIONI, CARRÁ, RUSSOLO, BALLA, SEVERINI PREFAZIONE AL CATALOGO DELLE ESPOSIZIONI dI PARIGI, LONDRA, BERLINO BRUXELLES, MONACO, AMBURGO, VIENNA…

febbraio 1912
Dalla famosa serata dell’8 marzo 1910 al Teatro Chiarella di Torino, dove, al fianco del poeta Marinetti lanciammo il nostro primo manifesto della Pittura futurista contro migliaia d’avversari, noi abbiamo molto combattuto, molto conquistato e intensamente lavorato!
E oggi possiamo affermare senza alcuna boria, che questa Esposizione di Pittura futurista è la più importante manifestazione dell’arte Italiana, da Michelangelo ad oggi.
Noi siamo infatti, dopo secoli di letargo, i soli giovani italiani che veramente si preoccupino di rinnovare la pittura e la scultura del nostro grande paese, obbrobriosamente disonorate dalla più vile apatia intellettuale e dal commercialismo più spudorato.
Le esposizioni futuriste di Parigi, Londra, Berlino, Bruxelles, Amburgo, Amsterdam, l’Aja, Monaco, Vienna, Budapest che suscitarono così vasto tumulto di polemiche hanno dimostrato che solo per noi oggi l’Italia è all’avanguardia della pittura mondiale.
Con un accanito fervore di ricerche, abbiamo rapidamente maturato e superato in noi stessi tutte le meravigliose fasi della pittura francese nel diciannovesimo secolo, fino alle ultime espressioni dei nostri amici Fauves e Cubisti, dai quali, malgrado la nostra stima e la nostra amicizia personale, dissentiamo.
L’importanza decisiva della nostra rivoluzione artistica è stata constatata dai maggiori critici esteri, fra i quali ci basta citare Brooke, del “Times”, P.G.Konody, della “Pall Mall Gazette”, Herwarth Walden della rivista, “Der Sturm”, Ray Nyst della “Belgique artistique et littéraire”, e il poeta Gustave Kahn.

L’illustre creatore del verso libero francese, che è anche il più moderno critico d’arte parigino, proclamò infatti in due articoli del “Mercure de France” che “certamente non si vide mai un movimento novatore altrettanto importante, dopo le prime esposizioni dei Pointillistes.”
Pure ammirando l’eroismo dei nostri amici Cubisti, pittori di altissimo valore, che hanno manifestato un lodevole disprezzo per il mercantilismo artistico e un odio possente contro l’accademismo, noi ci sentiamo e ci dichiariamo assolutamente opposti alla loro arte.
Essi si accaniscono a dipingere l’immobile, l’agghiacciato e tutti gli aspetti statici della natura. Adorano il tradizionalismo di Poussin, d’Ingres, di Corot, invecchiando e pietrificando la loro arte con una ostinazione passatista che rimane, per noi, assolutamente incomprensibile.
Con dei punti di vista assolutamente avveniristici, invece, noi cerchiamo uno stile del movimento, il che non fu mai tentato prima di noi.
Ben lontani dall’appoggiarci sull’esempio dei Greci e degli Antichi, noi esaltiamo incessantemente l’intuizione individuale, con lo scopo di fissare leggi completamente nuove, che possano liberare la pittura dall’ondeggiante incertezza nella quale si trascina.
La nostra volontà di dare, quanto più sia possibile, ai nostri quadri una costruzione solida non potrà certo ricondurci ad una tradizione passata qualsiasi. Ne siamo convinti!
Tutte le verità imparate nelle scuole o negli studi sono per noi abolite. Le nostre mani sono abbastanza libere e abbastanza vergini per ricominciare tutto.
E’ indiscutibile che molte affermazioni estetiche dei nostri compagni di Francia rivelano una specie di accademismo larvato.
Non è infatti un ritornare all’Accademia, il dichiarare che il soggetto, in pittura, ha un valore assolutamente insignificante?
Noi dichiariamo invece che non può esistere pittura moderna senza il punto di partenza di una concezione assolutamente moderna, e nessuno può contraddirci quando affermiamo che la nostra pittura è fatta di concezione e sensazione finalmente riunite.
Se i nostri quadri sono futuristi, è perché essi rappresentano il risultato di concezioni etiche, estetiche, politiche, e sociali, assolutamente futuriste.
Dipingere fissando il modello in posa è un’assurdità, e una viltà mentale, anche se il modello è tradotto nel quadro in forme lineari, sferiche o cubiche.
Dare un valore allegorico ad un nudo qualunque, traendo il significato del quadro dall’oggetto che il modello tiene in mano, o da quelli che gli sono disposti intorno, è, secondo noi, la manifestazione di una mentalità tradizionale o accademica.
Questo metodo alquanto simile a quello dei Greci, di Raffaello, di Tiziano, del Veronese è tale da disgustarci!
Pur ripudiando l’impressionismo, noi disapproviamo energicamente la reazione attuale, che vuole uccidere l’essenza dell’impressionismo, cioè il lirismo e il movimento.
Non si può reagire contro la fugacità dell’impressionismo, se non superandolo.
Nulla è più assurdo che il combatterlo adottando le leggi pittoriche che lo precedettero.
I punti di contatto che la nostra ricerca dello stile può avere con ciò che si chiama arte classica non ci riguardano affatto.
Altri cercheranno e troveranno certamente queste analogie, che in ogni caso, non possono essere considerate come un ritorno a dei metodi, a delle concezioni e a dei valori trasmessi dalla pittura classica.
Alcuni esempi chiariranno la nostra teoria.
Noi non vediamo alcuna differenza fra uno di quei nudi che si chiamano comunemente artistici, e una tavola di anatomia. C’è invece una differenza enorme fra uno di quei nudi artistici e la nostra concezione futurista del corpo umano.
La prospettiva com’è intesa dalla maggioranza dei pittori ha per noi lo stesso valore che essi attribuiscono a un progetto d’ingegneria.
La simultaneità degli stati d’animo nell’opera d’arte: ecco la mèta inebbriante della nostra arte.
Spieghiamoci ancora per via d’esempi. Dipingendo una persona al balcone, vista dall’interno, noi non limitiamo la scena a ciò che il quadrato della finestra permette di vedere; ma ci sforziamo di dare il complesso di sensazioni plastiche provate dal pittore che sta al balcone: brulichio soleggiato della strada, doppia fila delle case che si prolungano a destra e a sinistra, balconi fioriti, ecc. Il che significa simultaneità d’ambiente, e quindi dislocazione e smembramento degli oggetti, sparpagliamento e fusione dei dettagli, liberati dalla logica comune e indipendenti gli uni dagli altri.
Per far vivere lo spettatore al centro del quadro, secondo l’espressione del nostro manifesto, bisogna che il quadro sia la sintesi di quello che si ricorda e di quello che si vede.
Bisogna rendere l’invisibile che si agita e che vive al di là degli spessori, ciò che abbiamo a destra, a sinistra e dietro di noi, e non il piccolo quadrato di vita artificialmente chiuso come fra gli scenari d’un teatro.
Nel nostro manifesto, abbiamo dichiarato che 
bisogna dare la sensazione dinamica, cioè il ritmo particolare di ogni oggetto, la sua tendenza, il suo movimento, o per dir meglio la sua forza interna.
Si ha l’abitudine di considerare l’essere umano sotto i suoi diversi aspetti di movimento o di calma, di agitazione allegra o di gravità malinconica.
Ma nessuno si accorge che tutti gli oggetti cosidetti inanimati rivelano nelle loro linee, della calma o della follia, della tristezza o della gaiezza. Queste tendenze diverse danno alle linee di cui sono formati un sentimento e un carattere di stabilità pesante o di leggerezza aerea.
Ogni oggetto rivela, per mezzo delle sue linee, come si scomporrebbe secondo le tendenze delle sue forze.
Questa scomposizione non è guidata da leggi fisse ma varia secondo la personalità caratteristica dell’oggetto che è poi la sua psicologia e l’emozione di colui che lo guarda.
Inoltre, ogni oggetto influenza l’oggetto vicino, non per riflessi di luce (fondamento del primitivismo impressionista) ma per una reale concorrenza di linee e delle reali battaglie di piani, secondo la legge di emozione che governa il quadro (fondamento del primitivismo futurista.) Ecco perche, fra la rumorosa ilarità degli imbecilli, noi dicemmo:
Le sedici persone che avete intorno a voi in un tram che corre sono una, dieci, quattro, tre; stanno ferme e si muovono; vanno e vengono, rimbalzano sulla strada, divorate da una zona di sole, indi tornano a sedersi; simboli persistenti della vibrazione universale. E, talvolta sulla guancia della persona con cui parliamo nella via noi vediamo il cavallo che passa lontano. I nostri corpi entrano nei divani su cui ci sediamo e i divani entrano in noi così come il tram che passa entra nelle case, le quali’ alla lor volta si scaraventano sul tram e con esso si amalgamano.
Il desiderio d’intensificare l’emozione estetica, fondendo, in qualche modo, la tela dipinta con l’anima dello spettatore ci ha spinti a dichiarare che questo deve ormai essere posto al centro del quadro.
Esso non assisterà, ma parteciperà all’azione. Se dipingiamo le fasi di una sommossa, la folla irta di pugni e i rumorosi assalti della cavalleria si traducono sulla tela in fasci di linee che corrispondono a tutte le forze in conflitto secondo la legge di violenza generale del quadro.
Queste linee-forze devono avviluppare e trascinare lo spettatore, che sarà in qualche modo obbligato a lottare anch’egli coi personaggi del quadro.
Tutti gli oggetti, secondo ciò che il pittore Boccioni chiama felicemente trascendentalismo fisico, tendono verso l’infinito mediante le loro linee-forze, delle quali la nostra intuizione misura la continuità.
Noi dobbiamo appunto disegnare queste linee-forze per ricondurre l’opera d’arte alla vera pittura. Noi interpretiamo la natura dando sulla tela queste linee come i principii o i prolungamenti dei ritmi che gli oggetti imprimono alla nostra sensibilità.
Dopo aver dato per esempio, in un quadro, la spalla o l’orecchio destro di una figura noi troviamo assolutamente inutile dare ugualmente la spalla o l’orecchio sinistro della stessa figura.
Non disegnamo i suoni, ma i loro intervalli vibranti. Non dipingiamo le malattie, ma i loro sintomi e le loro conseguenze.
Chiariremo ancora la nostra idea con un confronto tratto dalla evoluzione della musica.
Non solo noi abbiamo abbandonato in modo radicale il motivo interamente sviluppato secondo il suo movimento fisso e quindi artificiale, ma tagliamo, bruscamente e a piacere nostro, ogni motivo, con uno o più altri motivi, di cui non offriamo mai lo sviluppo intero, ma semplicemente le note iniziali, centrali o finali.
Come vedete, c’è in noi, non solo varietà, ma caos e urto di ritmi assolutamente opposti, che riconduciamo nondimeno ad un’armonia nuova.
Noi giungiamo così a ciò che chiamiamo la pittura degli stati d’animo.
Nella descrizione pittorica dei diversi stati d’animo plastici di una partenza, certe linee perpendicolari, ondulate e come spossate, qua e là attaccate a forme di corpi vuoti, possono facilmente esprimere il languore e lo scoraggiamento.
Linee confuse, sussultanti, rette o curve, che si fondono con gesti abbozzati di richiamo e di fretta, esprimeranno un’agitazione caotica di sentimenti.
Linee orizzontali, fuggenti, rapide e convulse, che taglino brutalmente visi dai profili vaghi e lembi di campagne balzanti daranno l’emozione plastica che suscita in noi colui che parte.
E’ quasi impossibile esprimere con parole i valori essenziali della pittura.
Il pubblico deve dunque convincersi che per comprendere sensazioni estetiche alle quali non è abituato, deve dimenticare completamente la propria cultura intellettuale, non per impadronirsi dell’opera d’arte, ma per abbandonarsi a questa.
Noi iniziamo una nuova epoca della pittura.
Noi siamo ormai sicuri di realizzare concezioni della più alta importanza e della più assoluta originalità. Altri ci seguiranno, che con altrettanta audacia e altrettanto accanimento conquisteranno le cime da noi soltanto intraviste. Ecco perché ci siamo proclamati i primitivi di una sensibilità completamente rinnovata.
In alcuni dei quadri da noi presentati al pubblico, la vibrazione e il movimento moltiplicano innumerevolmente ogni oggetto.
Così noi abbiamo realizzato la nostra famosa affermazione del cavallo in corsa, che non ha quattro zampe ma venti.
Si possono inoltre notare nei nostri quadri, delle macchie, delle linee, delle zone di colore, che non corrispondono a nessuna realtà ma, secondo una legge della nostra matematica interna, preparano musicalmente ed aumentano l’emozione dello spettatore.
Noi creiamo, così in qualche modo, un ambiente emotivo, cercando a colpi d’intuizione le simpatie e gli attaccamenti che esistono fra la scena esterna (concreta) e l’emozione interna (astratta). Quelle linee, quelle macchie, quelle zone di colore apparentemente illogiche e inesplicabili sono appunto le chiavi misteriose dei nostri quadri.
Ci si rimprovererà certamente di voler troppo definire ed esprimere in modo evidente i legami sottili che uniscono il nostro interno astratto con l’esterno concreto.
Come volete, d’altronde, che noi accordiamo un’assoluta libertà di comprensione ad un pubblico che continua a vedere come gli fu insegnato, con occhi falsati dall’abitudine?
Noi andiamo distruggendo ogni giorno in noi e nei nostri quadri, le forme realistiche, e i dettagli evidenti che ci servono ancora a stabilire un ponte d’intelligenza fra noi e il pubblico. Perché la folla goda del nostro meraviglioso mondo spirituale che le è ignoto, noi siamo ancora costretti a darle delle indicazioni materiali.
Così noi rispondiamo alla curiosità grossolana e semplificatrice che ci circonda, coi lati brutalmente realistici del nostro primitivismo.

CONCLUSIONE
La pittura futurista contiene tre nuove concezioni della pittura:
1. Quella che risolve la questione dei volumi nel quadro, opponendosi alla liquefazione degli oggetti, conseguenza fatale della visione impressionista;
2. Quella che ci porta a tradurre gli oggetti secondo le linee-forze che li caratterizzano, e mediante le quali si ottiene un dinamismo plastico assolutamente nuovo;
3. Quella (conseguenza naturale delle altre due) che vuol dare l’ambiente emotivo del quadro, sintesi dei diversi ritmi astratti di ogni oggetto, da cui scaturisce una fonte di lirismo pittorico fino ad oggi ignorata.

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