Appunti sul concetto di lavoro, tra politica e società

La lunga crisi economica che stiamo vivendo ha in Italia, e nel resto dell’occidente, un effetto drammatico, una grave crisi del mercato del lavoro. In Italia, sostanzialmente, è diventato difficile trovare un lavoro, di qualsiasi tipo. Oltre a causare grandi difficoltà a chi cerca lavoro la crisi colpisce anche chi lavora; ed in molti casi i posti di lavoro sono a rischio licenziamento ed è comunque difficile riuscire a guadagnare cifre sufficienti alla sussistenza.
Tale mancanza di lavoro sta facendo emergere, in controluce, l’importanza del lavoro nella vita di ciascuno di noi. La classe politica italiana, in maniera evidentemente tardiva ed al momento inefficace, sta provando a risolvere una situazione, che stando ai dati recenti (ad esempio i dati Eurostat sull’occupazione nel 2013), non sembra migliorare.

Per tale motivo la questione del lavoro, sotto la pressione di proteste sociali talvolta veementi, sta tornando, a fatica, al centro del dibattito politico. Non mi addentro, non è questo lo scopo dell’articolo, su come tale questione venga affrontata dalle diverse parti.

Lo scopo dell’articolo è semplicemente quello di fare alcune considerazioni a margine sull’intera situazione. Tre considerazioni, in particolare.

Immagine tratta da "La France qui travalle" dei Fratelli Lumiere
Immagine tratta da “La France qui travaille” dei Fratelli Lumière
  • L’importanza del concetto di lavoro nelle più importanti tradizioni politiche italiane.

La paradossalità della situazione del nostro paese emerge in tutta la sua forza ripensando, seppur brevemente, all’importanza che il lavoro ha avuto nelle parole e nell’elaborazione teorica delle principali culture politiche italiane.

Tale importanza è evidente in primo luogo nella tradizione di sinistra della politica italiana. La storia della sinistra italiana è legata alla storia di quello che è stato per lunghi anni il più importante partito comunista europeo, il PCI. Riprendendo, pure rapidamente, a “volo d’angelo”, la riflessione politica comunista, ci si accorge di come il concetto di lavoro sia fondante in ognuno dei suoi filoni e correnti di pensiero.
Basta pensare ai testi di Marx e all’importanza nella sua economia politica delle riflessioni sulla teoria del valore. La stessa idea di classe operaia è inconcepibile senza la comprensione di un certo modo di intendere il lavoro.
Modo che qui, ovviamente, non possiamo approfondire.

L’importanza del lavoro nella tradizione cristiana, che ha originato l’altro grande partito italiano del dopoguerra, la DC, è anch’essa assodata. Non sono assolutamente in grado di ripercorrere le differenti concezioni del lavoro che si sono alternate nella lunghissima storia del Cristianesimo, neanche per sommi capi. Mi limito ad un paio di considerazioni “sparse”.

Una menzione quasi d’obbligo è quella di uno dei più celebri saggi sul capitalismo, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber, in cui tra le cause della nascita del capitalismo viene preso in considerazione proprio un modo diverso di intendere il lavoro all’interno delle tradizioni cristiane (cattolica e protestante).

Ovviamente la riflessione cristiana sul lavoro è molto più antica, mi limito ad una citazione della Treccani:

Nel mondo occidentale il significato di lavoro ha le proprie radici nel terreno della tradizione greco-latiina e giudaico-cristiana, che lo intendeva come attività servile, non degna degli uomini migliori. Con il primo cristianesimo si affaccia l’idea del lavoro come redenzione o riscatto;
(Voce “Lavoro” nella Treccani online)

e ad alcune tra le tante menzioni bibliche:

2 Il settimo giorno, Iddio compì l’opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno da tutta l’opera che aveva fatta. 3 E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso si riposò da tutta l’opera che aveva creata e fatta.
(Genesi 2: 2-3)

9 Lavorerai sei giorni e in essi farai ogni tuo lavoro;
10 ma il settimo giorno è sabato, sacro all’Eterno, il tuo DIO; non farai in esso alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero che é dentro alle tue porte;
(Esodo, 20:9-10)

1. Beato l’uomo che teme il Signore,
chi nelle Sue vie sicuro cammina.
2. Mangerai il frutto del tuo lavoro,
felice sarai nella gioia del bene.
(Salmo 128)

Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato. 17 Ma Gesù rispose loro: «Il Padre mio opera sempre e anch’io opero».
(Giovanni, 5:16)

9 Anche se avevamo qualche diritto, volevamo servirvi d’esempio ed insegnarvi che bisogna lavorare per vivere. 10 Prova ne è che, mentre eravamo ancora lì da voi, vi abbiamo dato questa regola: «Chi non lavora non deve neppure mangiare».
11 Nonostante ciò, abbiamo saputo che alcuni di voi vivono in maniera sregolata: non vogliono lavorare e sprecano il loro tempo in sciocchezze. 12 In nome del Signore Gesù Cristo, ordiniamo ed esortiamo questi tali a starsene tranquilli e a guadagnarsi il pane che mangiano. 13 Ai rimanenti di voi dico questo, fratelli: non stancatevi mai di fare del bene.
(Tessalonicesi, 3:9-13)

D’altronde il mondo cattolico italiano non ha rifiutato il dibattito con i socialisti sul lavoro. La stessa Rerum Novarum del 1891, l’enciclica emanata da Leone XIII in cui veniva condannato il socialismo, sosteneva il bisogno di collaborazione tra capitale e lavoro affermando tra l’altro che “è stretto dovere dello Stato prendersi la dovuta cura del benessere degli operai: non facendolo si offende la giustizia che vuole reso a ciascuno il suo”.

Breve considerazioni con cui ho voluto solo sottolineare l’importanza della riflessione sul lavoro, seppur con idee molto diverse, nella tradizione politica italiana. Sarebbe forse bastato citare l’articolo 1 della Costituzione.

  • La rilevanza costituzionale del lavoro.

L’incontro delle culture politiche italiane nel dopoguerra ha originato quella meritoria Costituzione che ancora oggi utilizziamo. In essa, la tematica del lavoro è talmente importante da entrare nell’articolo 1:

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Non solo l’articolo 1, come è noto. La rilevanza costituzionale del lavoro è infatti garantita da un complesso reticolato di articoli che vanno letti assieme. Il comma I dell’art.3, l’articolo 38, il dimenticato articolo 4:

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Brevi considerazioni che servono solo a sottolineare come la mancanza di lavoro coinvolga diversi aspetti. Essa in primo luogo causa il dramma sociale che stiamo vivendo quotidianamente, gli stenti economici, le emigrazioni, i lavori sottopagati, le tensioni in piazza.

Oltre a ciò tuttavia, questa mancanza di lavoro è segnale di quanto siano profondi i problemi della politica italiana che non riesce a garantire l’applicazione nemmeno della lettera della Costituzione. Tali problemi possono essere sicuramente in parte contingenti, dipendono dal modo in cui si amministra e si fa politica in Italia. In parte però, probabilmente, coinvolgono il cuore stesso dell’elaborazione politica, il pensiero politico in generale, che sulla tematica del lavoro, così importante anche a livello teorico, non riesce da anni a “trovare una quadra”. Nel dibattito giornaliero sembrano mancare delle parole nuove che facciano emergere le soluzioni ad una crisi profonda.

  • Lavori ed abitudini diverse.

La crisi economica ha colpito una Italia già assopita ed in chiara difficoltà sulla tematica del lavoro, violenta come un pugno nello stomaco. Ma non ha colpito subito tutti, e non tutti con la stessa intensità. Sono anni infatti che la disoccupazione giovanile in Italia è a livelli altissimi. E’ indubitabile che tale situazione abbia colpito prima di tutto noi ragazzi, per poi ricadere “a cascata”, era inevitabile, sulle famiglie allargandosi con costanza a quasi tutti i settori produttivi.

Una crisi dell’accesso al mercato del lavoro, si potrebbe dire. In attesa che “qualcuno” più esperto risolvesse la situazione, non siamo rimasti guardare.

La reazione dei ragazzi alla crisi ha comportato alcune modifiche al modo di approcciarsi al lavoro (e al non lavoro), di cui volevo parlare, anche in questo caso brevemente.

Uno dei grandi cambiamenti ha coinvolto l’utilizzo delle nuove tecnologie. Utilizziamo internet, smartphone e applicazioni, con una naturalezza che sembra stupire gli adulti. In maniera probabilmente abnorme. Su questo caratteristica delle nuove generazioni, siamo spesso i primi ad ironizzare, e a ragione. Pensando al lavoro, ci si rende conto in modo chiaro di come tale utilizzo massivo della tecnologia, della rete prima di tutto, sia abbastanza nuovo.

Il lavoro, ad esempio, spesso lo cerchiamo online, consultiamo annunci di offerte di lavoro, inviamo curriculum, apriamo profili professionali sui social network.

Ma usiamo la rete anche per inventare dei lavori. Inventiamo professioni, siti, applicazioni. Internet è anche una strada per accedere al mondo del lavoro.

Il “salto” rispetto alle generazioni precedenti, per cui trovare lavoro online era cosa vista quasi con sospetto, è evidente.

Altra differenza che credo sia importante individuare nel rapporto dei ragazzi con il lavoro, riguarda la mobilità. Stiamo vivendo giorni in cui probabilmente non si può che parlare di emigrazione. Parola dolorosa perchè riporta alla mente le storie di chi è partito a cercar fortuna negli Stati Uniti.

Era difficile prevedere che un fenomeno del genere si ripresentasse, in qualche modo, a così breve distanza di tempo. In realtà però, sono anni che si parla di “fuga dei cervelli”. Con ciò si individua una delle reazioni tipiche dei giovani ragazzi italiani con una preparazione universitaria. Il lavoro in Italia non c’è? Lo andiamo a cercare, anche in capo al mondo. Impossibile dar torto ai molti amici che hanno scelto, e stanno scegliendo questa strada.

Si tratta di “viaggi” anche molto diversi tra loro. Il viaggio del ricercatore in cerca per il mondo di una realizzazione lavorativa, il viaggio di chi non sa più come sostenersi. Entrambi dolorosi, ma diversi.

Per come conosco io questo fenomeno, mi sembra differente rispetto all’emigrazione del novecento. Per dire in breve la differenza che mi sembra di notare, l’emigrazione novecentesca era un’emigrazione in cerca di una nuova vita, che tendeva a stabilirsi nel luogo raggiunto. L’emigrazione attuale è pensata come parte di una vita da costruire. Mi sembra insomma che la mobilità sia entrata in modo stabile nell’orizzonte dell’esistenza di molti ragazzi. Di alcuni, quantomeno. Forse una delle possibilità più interessanti che ha portato l’idea di Europa.

Si tratta di una mobilità comunque ambigua, in parte coerente con un percorso di vita, talvolta solo dolorosa necessità. Talvolta, è ambedue le cose contemporaneamente.

Se a ciò aggiungiamo la sempre maggiore diffusione di contratti di lavoro a tempo non indeterminato e la quasi impossibilità di raggiungimento della pensione, ci rendiamo conto di come l’idea di stabilità del lavoro sia decisamente inattuale.

Cambiamenti nell’approccio al lavoro non così superficiali come potrebbe sembrare.

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