L’interessante filmografia di Jonathan Glazer

Jonathan Glazer nato a Londra il 1 marzo del 1965, si laurea alla Nottingham Trent University in sceneggiatura e regia. Dopo gli studi inizia a lavorare come montatore per la BBC, negli anni ’90 realizza una serie di video musicali di enorme successo e nel 1997 viene nominato dagli Mtv Music Awards come regista dell’anno.
Lavora per i più importanti artisti del momento: Massive Attack, Radiohead, Jamiroquai, Blur, Nick Cave, Richard Ashcroft.

Nel 2000 esce il suo primo lungometraggio, L’ultimo colpo della bestia (Sexy Beast), opera che ottiene numerosi riconoscimenti sia in Europa che in America. Del film si apprezza sopratutto l’interpretazione di Ben Kingsley che viene nominato agli Oscar come migliore attore non protagonista nel 2002.

Nel 2004 Glazer presenta il suo secondo film, Birth. Io sono Sean (Birth).
La storia racconta di una donna (Anna) che, alle prese con il suo nuovo matrimonio, incontra un bambino che dice di essere il suo defunto marito Sean, morto dieci anni prima. Il regista riesce con notevole abilità a trasmettere tramite i personaggi e le ambientazioni l’inquietudine psicologica dei protagonisti, in particolare modo della donna e del bambino che sono alla ricerca di qualcosa e che si aggrappano l’uno all’altra pur di riempire un vuoto profondo.
Nicole Kidman interpreta la vedova, Anna, una donna bella e fragile che proviene da una famiglia alto-borghese dove vive in un ambiente freddo e distaccato nel quale le apparenze, senza ostentazione, sono la cornice perfetta per una ambigua situazione che scombussola ogni progetto futuro.
Niente di metafisico quindi ma anzi il ritratto concreto di una situazione paradossale che nel finale svela una triste realtà.

Il film non riscuote il successo sperato, la critica ritiene che la trama non sia sufficientemente forte e che il regista abbia affrontato il tema in modo superficiale nonostante la sua innegabile bravura nella costruzione delle immagini.
In realtà è proprio la volontà di Glazer quella di non voler dare risposte, di non voler definire una situazione, di non voler giudicare ma piuttosto di volersi mettere in contatto diretto con il pubblico che a sua volta interpreterà a modo proprio l’intera vicenda. In tal senso è vero che i personaggi non sono delineati nettamente ma risultano vaghi lasciando allo spettatore un senso di spaesamento che da alcuni è stato interpretato come incapacità di rappresentare una storia dall’inizio alla fine.
Va ricordato che la sceneggiatura del film è stata scritta con la collaborazione di Jean-Claude Carrière, noto per aver scritto alcuni dei film più celebri di Luis Bunuel, nei quali l’elemento surreale veniva utilizzato per rispecchiare molte delle contraddizioni della contemporaneità.

Nel 2013 esce il terzo film del regista, Under the skin, tratto dal romanzo di Michel Faber Sotto pelle. La storia, difficile da decifrare all’inizio, racconta di un essere alieno che arriva sulla terra, impossessandosi del corpo di una bellissima ragazza. La giovane, interpretata da una bravissima Scarlett Johansson, gira per la Scozia cercando di abbordare alcuni uomini. Appena li conquista li porta in un luogo indefinito, una sorta di spazio onirico, dove questi spariscono per sempre in un liquido sotterraneo.
La donna non prova alcuna emozione e non sembra proprio appartenere al mondo degli umani fino a quando qualcosa cambia durante l’incontro con un ragazzo alle prime armi dall’aspetto “mostruoso”, interpretato dall’attore Adam Pearson, affetto da neurofibromatosi.

Il giovane la segue nel non luogo dove scomparirà ma la donna decide di farlo scappare e lo risparmia dalla morte. A quel punto la protagonista assume comportamenti più umani ed incontra un uomo con la quale avrà una strana relazione.
La particolarità del film è che è stato quasi completamente girato a telecamere nascoste, questa scelta operativa ha permesso all’attrice di immedesimarsi con ancora più naturalezza nel suo personaggio.
L’intenzione del regista riesce proprio perchè l’alieno si muove meccanicamente in un mondo che non gli appartiene, è un estraneo che solo in seguito si fa coinvolgere dal mondo umano rischiando inoltre di provare sofferenza a causa di un incontro sfortunato verso la fine del film.

La Johansson si cimenta nell’impresa di rappresentare una donna totalmente indifferente, una bambola di porcellana che dietro alle forme sinuose non nasconde nessuna emozione.
Ma anche per questo terzo film di Glazer la critica non è stata sempre generosa.
La questione della narrazione rimane per molti ancora una pecca del regista che, anche in questo caso, non spiega il perchè dell’accaduto e non risponde alle domande che via via sorgono durante la visione della pellicola. Al contrario tutto sembra incentrato sull’immagine, sulla percezione visiva e uditiva su cui il regista si sofferma continuamente escludendo quasi completamente i dialoghi che non rivelano nulla della motivazione reale per cui la donna agisce in un certo modo.
Ma forse è proprio questa la bellezza del film, regalare una visione aperta e non definitiva, supportata da una storia irreale che propone un’ immagine femminile e un’umanità che anche se lontana dalla realtà riesce a raccontare un certo modo di stare al mondo.

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