Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati. Un classico del Novecento italiano

È il 1940 quando viene pubblicato Il deserto dei Tartari, il romanzo di Dino Buzzati che diverrà una delle opere letterarie più emblematiche prodotte dal Novecento italiano. Che si tratti di un romanzo con dei tratti unici e innovativi è chiaro dalle prime righe della narrazione che introducono il lettore in un’atmosfera particolare, ai confini di un luogo che potrebbe essere “ovunque e da nessuna parte” a causa della sua surreale e metaforica indefinitezza. Qui arriva Giovanni Drogo, il protagonista del romanzo, un tenente inviato in servizio presso la Fortezza Bastiani che si trova proprio sulla cima di un’altura prospicente a questo “deserto dei Tartari”.

zurlini - deserto dei tartari
Immagine tratta dal film Il deserto dei Tartari di Valerio zurlini, 1976.

L’ambientazione, i tempi del racconto, lo stile e i dettagli che si susseguono intrecciandosi ai ritmi della vita militare, sembrano appartenere alla dimensione dell’attesa, a quello spazio simbolico sospeso situato tra sonno e veglia. La sospensione, appunto, accanto alla fuga del tempo, è un leitmotiv di questo romanzo e viene enfatizzata dalla desolazione suggerita dal paesaggio brullo e scarno.

Qui, dunque, in una fortezza circondata dal deserto, trascorrono le loro giornate i soldati in attesa di un nemico che in realtà non giunge per gran parte della narrazione. La disciplina e i tempi rigorosi della vita militare caratterizzano la quotidianità di Drogo e dei suoi militari. L’attesa del nemico diventa quasi un’ossessione per questi esseri umani che trascorrono tutta la loro esistenza ai confini del mondo. Passano gli anni, e Drogo rientra in quel mondo che aveva abbandonato prima di partire per un periodo limitato, provando sulla propria pelle un senso di smarrimento e straniamento, di incapacità e inadeguatezza; in seguito a questa licenza fa poi ritorno alla fortezza Bastiani dove continuerà a perseguire il suo obiettivo attendendo che i nemici arrivino.

La disillusione non tarda arrivare e in effetti, i famosi Tartari, così tanto attesi, giungeranno.

Il finale è però spiazzante, emblematico e allegorico di una condizione che accomuna per certi versi l’esistenza universale degli esseri umani. Drogo è costretto a rimanere a letto a causa di un malanno, ragion per cui non potrà combattere. Tutto questo sembrerebbe opera di un destino ironico e beffardo, eppure è qui che emerge il senso finale del romanzo. Drogo morirà in una locanda, solitario, congedato dalla fortezza, affrontando la propria morte con una consapevolezza e maturità ineguagliabili.

Questo gesto finisce così per suggerire a noi lettori alcuni interrogativi, spingendoci a riflettere. E se quell’attesa di qualcosa che dia un senso alla vita non si esaurisse in quel momento finale in cui non si è vinti dalla paura di morire, ma la si affronta serenamente? E se la vera vittoria contro il vero nemico non sia proprio questa? Drogo trova il suo senso, la sua frustrazione si attenua, la calma sopraggiunge. Non c’è più nulla da attendere. Tutto si compie.

Il romanzo si colloca com’è facile intuire in una dimensione assolutamente contemporanea. Le riflessioni, le tematiche, i concetti che emergono nel corso della narrazione sono tipicamente moderne e fanno parte dei meccanismi che la contemporaneità attiva nell’essere umano del Novecento. Non è un caso se un input per la scrittura di questo romanzo è giunto a Buzzati da un fatto realmente accaduto. Lo scrittore ha lavorato per il Corriere della Sera in Etiopia nel 1939 come giornalista, ed è qui che deve aver maturato dentro il suo spirito creativo la trama di un romanzo che parlasse della condizione dell’uomo moderno e della sua desolazione. Qui, il paesaggio desertico diventa davvero un’immagine importante ed efficace così come i Tartari, il popolo nomade asiatico, vengono utilizzati in maniera assolutamente simbolica e non realistica, come metafora di un popolo guerriero e sconosciuto che arriverà prima o poi alle porte della fortezza, rompendo l’attesa dei soldati e dando alla loro vita un probabile senso.

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