L’Italia liberale – Dal 1876 alla guerra mondiale

L’Italia a cavallo dei due secoli è segnata da una grande separazione tra lo stato, altamente politicizzato, e la società, in gran parte disinteressata alle vicende politiche.

Nel 1882 venne allargato il diritto di voto  a tutti i maschi sopra i 21 anni che sapessero leggere e scrivere (il 6.9% della popolazione).

De Petris è il politico italiano che inaugura il trasformismo, fenomeno diffuso in Italia ancora oggi.

Molti notabili locali conservatori iniziarono una serrata critica allo statalismo in nome del decentramento. Il costituzionalista siciliano Vittorio Emanuele Orlando, invece, teorizza per primo un modello incardinato sulla centralità dello stato:secondo questo lo modello lo stato deve essere unito e semplice senza divisione interne, dunque senza partiti.

L’industria italiana si caratterizzò per l’intreccio tra pubblico e privato e per le grandi protezioni da parte dello stato.

Francesco Crispi è uno dei principali protagonisti della vita politica italiana del periodo. Egli  proverà a rafforzare la sovranità statale attuando una riforma dell’amministrazione sia centrale che locale. Con Crispi vi fu un parziale spostamento di potere dal parlamento a beneficio del governo. Nel 1887 il governo Crispi varerà delle misure economiche protezioniste. Il primo governo di Crispi durerà fino al 1891. Con Crispi vengono introdotte anche le prime tutele sociali verso i lavoratori. Il modello crispino è un modello autoritario sulla scia della Germania di Bismarck.

A fine 1893 il governo unitario deve affrontare una grave crisi; le grosse difficoltà causate dai fasci siciliani, dalla Lunigiana e dal dissesto finanziario(scandalo della banca romana) portarono nuovamente al governo “l’uomo forte” Crispi.

Nel 1894 furono emanate leggi particolari contro i movimenti socialisti ed in seguito fu chiuso il partito socialista.

Imperialismo italiano: nel 1896 la sconfitta di Adua contro gli abissini fu la più grave sconfitta subita da un paese coloniale. Nel 1898 esplosero i conflitti sociali che agitavano l’Italia. Il re Umberto I tentò di approfittarne per una svolta autoritaria, fu proclamato lo stato d’assedio a Firenze, Napoli, Milano, Livorno. L’Italia fu lacerata da una parte da  rivolte di sinistra, dall’altra dal tentativo di ricostituzione dell’ordine feudale. Vennero approvate norme eccezionali per il mantenimento dell’ordine pubblico. Si provò a cambiare l’ordine costituzionale ma in parlamento prevalse l’opposizione che andava dai socialisti ai liberal-democratici Zanardelli e Giolitti. La fine del partito “di corte”, come fu chiamato il movimento parlamentare vicino ad Umberto I, fu sancita dal nuove re Vittorio Emanuele III.

Nel 1901 si forma il governo Zanardelli, con ministro dell’interno Giolitti, che proclama la libertà di sciopero e il principio della neutralità dei poteri pubblici negli scontri tra capitale e lavoro. Termina l’idea dello stato unitario e senza conflitti.

Giolitti, la principale figura politica del periodo, tenta di guidare l’Italia sulla via dello sviluppo produttivo e della democrazia con attenzione alle riforme sociali, i suoi riferimenti erano l’economista Francesco Saverio Nitti e l’economista inglese Adam Smith. Il suo avversario politico fu Sidney Sonnino, entrambi accomunati da progetti di riforma vennero bloccati dai contrasti sociali. La via riformista era poco adatta alla società italiana divisa tra conservatorismo radicale e spinte democratico-socialiste. Il blocco politico che aveva impedito la svolta autoritaria si era frantumato, liberali radicali, riformisti socialisti e liberali giolittiani andavano per strade diverse spesso conflittuali. Il non avere un blocco sociale e politico d’appoggio causò grandissimi problemi a Giolitti che dovette basarsi sui propri rapporti personali, sulle proprie mediazioni, sulla concessione di favori, per mantenere un controllo stabile del governo.

Inizia a svilupparsi l’amministrazione italiana attraverso cui viene superata la scissione stato/società che aveva caratterizzato i primi anni unitari. Nello stato vengono canalizzati gli interessi delle diverse forze sociali. L’espansione dell’amministrazione tuttavia non subentrò al posto dei conflitti sociali e degli scontri politici.

Guerra contro la Turchia e conquista della Libia.

Il nazionalismo, col mito patriottico, ridefinisce il rapporto tra la politica e le masse. Nel 1912 viene introdotto il suffragio universale maschile per chi ha svolto il servizio militare e per chi sa leggere e scrivere. Gl analfabeti possono votare solo dopo i trentanni.

L’economia alla caduta della destra non era fiorente. Nonostante i notevoli sforzi infrastrutturali per la creazione di un mercato comune e la rigorosa politica economica che consentì il pareggio del bilancio la crescita economica segnava il passo, nel primo quindicennio unitario la crescita industriale era addirittura diminuita rispetto al 1861. La politica della destra storica (con questo nome è passata alla storia la prima classe dirigente politica postunitaria) fu liberista in politica estera e statalista e rigida all’interno.

Con la sinistra la politica economica italiana si caratterizzò per l’intreccio tra politica ed economia; la politica divenne espressione dei ceti economici dominanti, quelli delle banche soprattutto. Il primo effetto del cambio di dirigenza politica fu la svolta protezionista sostenuta da un gruppo di imprenditori (tra cui Alessandro Rossi, Industriale tessile di Vicenza). Del 1878 fu il primo provvedimento protezionistico riguardante l’industria tessile e quella siderurgica, poi fu seguito  dalle misure per i prodotti agricoli, invocate sia dagli industriali del Nord che dai proprietari del Sud, invasi dal grano americano. I settori protetti si svilupparono notevolmente ma molti sottolineano le storture che vennero prodotte da questo sistema, in primo luogo l’arretratezza in cui rimase il Sud d’Italia.

Dal 1896 al 1914 l’economia italiana entrò in una fase di intenso sviluppo. Gran parte dei meriti furono delle prime due banche miste realizzate con fondi tedeschi. la Banca Commerciale Italiana e il Credito Italiano. Il paese rimase tuttavia per il 45% agricolo e solo per il 25% industriale. L’industria crebbe sia nei settori tradizionali (tessili, agricoltura) che in quelli moderni ( metallurgia, chimica, meccanica, boom delle automobili). Rimase però lo squilibrio tra Nord e Sud, fu questo il periodo in cui partirono quasi tutti gli emigranti.

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