Human Flow. Il documentario di Ai Weiwei sui migranti

Molto di noi conoscono il lavoro continuo di Ai Wei Wei, artista e attivista cinese, espulso dal suo paese dopo una serie di denunce da lui stesso espresse nel suo blog contro il governo cinese.
Attivo da sempre sui social network Ai Wei Wei non è il classico uomo d’arte misterioso, schivo e lontano dal pubblico. Su Instagram, ad esempio, è possibile seguire la vita dell’artista che pubblica costantemente foto che ritraggono i suoi viaggi, le sue partenze, le persone con cui condivide la sua esperienza, gli amici, il figlio.

Human flow - Ai Weiwei

Già in queste immagini, piccole istantanee di vita, si nota la vena documentarista dell’artista, quasi fosse un archivio massiccio di quello che gli accade attorno. Questa sua maniera riecheggia, in parte, l’arte cinematografica tanto cara ad Ai Wei Wei che, proprio in un’intervista recente su Repubblica, rivela che è il cinema il suo primo grande amore.
L’attenzione di questi giorni per l’artista cinese nasce da un film documentario da lui girato e appena presentato alla 74° Mostra Cinematografica di Venezia dal titolo “Human Flow”.

Il flusso di umani fa riferimento ai migranti che si muovono da un continente all’altro, un’esperienza che sempre ha caratterizzato la nostra specie ma che ora ha una portata storica di immensa importanza per tutto il mondo. Ai Wei Wei durante le riprese del film ha partecipato lui stesso al “flow” vivendo esattamente come migliaia di profughi che giorno dopo giorno scappano da guerre e carestie. Non solo regista quindi ma anche osservatore e protagonista che si è messo in marcia come gli altri. Le varie recensioni di chi ha potuto vedere in anteprima il film non sono unanimi, c’è chi critica al regista di aver preferito documentare il fenomeno in modo macroscopico senza raccontare una storia particolare e quindi approfondendo i motivi umani e politici di questo esodo e chi non ha apprezzato il fatto che l’artista fosse anch’egli ripreso mentre partecipa attivamente alla vita dei migranti, che però in fondo fondo non gli appartiene.

#humanflow

Bisognerà aspettare che il docu-film esca nelle sale italiane per poter giudicare in modo personale l’esperienza che Ai Wei Wei ha voluto raccontare. Su questo lavoro la sua ricerca prosegue riallacciandosi inevitabilmente a lavori che già convergevano su questo tema pur rappresentandolo con mezzi differenti. Pensiamo infatti all’installazione a Palazzo Strozzi a Firenze (2016-2017), nella quale l’artista dispone sulla facciata del palazzo una fila continua di gommoni di salvataggio arancioni che spiccano sul colore neutro del resto dell’edificio.
In questa installazione monumentale la doppia relazione dell’autore emerge sia nel rapporto con la storia, Palazzo Strozzi simbolo di rinascimento, sia con l’attualità – il problema umano e politico della migrazione. Ma il doppio binario comunicativo si estende anche alla creazione di un’ immagine che dialoga con l’architettura e all’idea urbanistica generale della città nel suo complesso.
I gommoni riprendono il ritmo della fila superiore delle bifore e coprono la fila di quelle sottostanti, sostituiscono l’elemento architettonico “chiudendo” le finestre del palazzo ma invitando la comunità ad aprire gli occhi su un dramma attuale e vicino come quella di chi attraversa il mare pieno di speranza in una vita migliore.

L’artista riconosce all’Italia un ruolo importante nel primo soccorso agli immigrati che sbarcano sulle coste della penisola ma si rivolge all’intero continente Europa che non ha decisamente fatto abbastanza per limitare i danni di un esodo inevitabile.

L’arte di Ai Wei Wei può influire sulla politica? Se la politica fosse anche cultura certamente si.

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