Gianna Breil in un appassionante monologo teatrale su Frida Kahlo

Testo di SILVIA BRAGONZI,
con la partecipazione di CARLOTTA LIMONTA (voce e piano)
PAOLO CAMPORESI (fisarmonica).

Venerdì 14 settembre 2018 a Milano in Via Voghera al civico 14 ore 20.00 – Ingresso gratuito

Si ringrazia Alberto Castelli Miceli di “Castelli Gourmet” per l’ospitalità.

Gianna Breil, nota attrice e fondatrice di Teatro Libero nel 1994, torna in scena a Milano ad interpretare il monologo di Silvia Bragonzi, scelta da Regione Lombardia tra le scrittrici di “Expo 2015”, con il coinvolgente e variegato accompagnamento musicale di Carlotta Limonta (voce e piano) e Paolo Camporesi (fisarmonica).

Commovente e non privo di sfumature il monologo della Bragonzi, il quale ripercorre la vita dell’artista avvolgendola in un’atmosfera densa di ombre e fruscii, echi animici e poetici:

Dal mio letto a baldacchino penzolano le mie marionette, con il loro cranio lunare, a volte le metto a testa in giù, estenuate, uccise. Mi circondo di amici immaginari: bambole, scheletri di cartapesta, bestie ed ex voto che intrecciano storie aniche, magiche, vissute. È a loro che chiedo consiglio e conforto.

Il suo monologo tratta la storia di Frida Kahlo, pittrice messicana protagonista di una vita intensa, coronata dall’amore quanto dal dolore.
Affetta da spina bifida,per errore scambiata per poliomielite dai genitori e le persone che la circondavano, fin da piccola Frida Kahlo mostra una personalità decisa e oltremodo passionale, oltre ad uno spirito indipendente e a un singolare talento artistico.
La sua storia è universalmente nota per un drammatico incidente che ha luogo il 17 settembre 1925: Frida Kahlo ha 18 anni e sta tornando a casa da scuola in compagnia di Alejandro Gomez, uno studente di diritto con cui intesse una relazione amorosa. All’improvviso un tram si scontra con l’autobus sul quale viaggiavano i due giovani, e l’autobus finisce per urtare violentemente un muro. Molte persone muoiono sul colpo, Frida rimane gravemente ferita: la colonna vertebrale si spezza in tre punti, si frattura il bacino, le costole, il piede destro e la gamba sinistra; la spalla destra è slogata in modo permanente e – a causa di una ferita penetrante all’addome, determinata da un corrimano entrato nell’anca sinistra ed uscito attraverso la vagina – Frida perde anche la sua fertilità, un dolore, questo, lancinante, che si trascinerà per il resto della sua vita. L’incidente porta Frida a dover subire 32 operazioni chirurgiche e a restare in ospedale per tre mesi. 
La vita di molti si sarebbe arenata in seguito a questo evento catastrofico ma non quella dell’artista, la quale è percorsa da un pathos vitale e da una sollecitudine riflessiva inarginabili.

Negli anni immediatamente successivi, Frida conosce Diego Rivera, un illustre pittore del tempo a cui vuole sottoporre le sue opere, il quale presto diviene suo marito. Vista la repressione dei dissidenti politici, il Partito Comunista Messicano viene dichiarato fuorilegge. Frida ed il marito Diego, in esso militanti, sono costretti a lasciare la propria Terra e a trasferirsi negli Stati Uniti. Purtroppo, neanche la vita sentimentale di Frida si rivela felice e priva i traumi; i continui tradimenti del marito, tra i quali anche quello con sua sorella Cristina, conducono i due a separarsi nel 1939. L’anno seguente, cosciente dello sbaglio commesso, Rivera propone nuovamente a Frida di sposarlo. L’artista, divenuta ormai indipendente e consapevole sia sul piano sessuale che su quello economico, sceglie di acconsentire a due condizioni: non avrebbe più ricevuto denaro da lui e non avrebbero più avuto rapporti sessuali. Tornati in Messico dopo aver celebrato le seconde nozze, per Frida si ripresentano i problemi di salute: nel 1944 è costretta ad indossare un busto d’acciaio e in seguito il suo stato si aggrava in maniera irreversibile. Qualche anno prima di morire le viene amputata la gamba destra, oramai incancrenita. Alla giovane età di 47 anni Frida Kahlo muore per embolia polmonare, lasciando a noi la testimonianza del trionfo per antonomasia della vita sulla morte nonché un lascito artistico di valore incommensurabile.

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