Recensione di X di Valentina Mira, un libro che racconta le molteplici facce della violenza

E’ uscito un romanzo che si chiama X e che tutti dovrebbero leggere. Questa la frase che spesso si legge nelle recensioni del libro di Valentina Mira. X, edito da Fandango, è un libro che si legge tutto d’un fiato e che parla di violenza. Lo fa talmente bene da lasciare il lettore spiazzato. Inevitabilmente, durante la lettura, siamo portati a riflettere su questo concetto: cos’è la violenza?

Valentina Mira parla dello stupro, un abuso che non dovrebbe essere messo in dubbio, sul quale non c’è molto da discutere. Eppure, vedendo qualche presentazione del libro, si puntualizza sul fatto che la violenza descritta nel romanzo non è il “tipico” stupro che possiamo leggere sulle cronache di giornale. Forse, in parte, sta qui l’importanza e la “novità” di questo libro; ma sta qui solo nella misura in cui non c’è, evidentemente, un’attenzione per la realtà femminile, per la sessualità e l’affettività in generale. L’autrice al fondo ci comunica che per alcuni uomini l’unico modo di vivere il rapporto con l’altro sesso è lo stupro, ovvero la prevaricazione sull’altra. Sul piano sociale e culturale invece questa triste realtà non ci può sorprendere se pensiamo che fino a poco tempo fa lo stupro era considerato legittimo (era reato contro la morale) e che solo nel 1996 è diventato reato contro la persona.

Mira riesce a far entrare il lettore nella sua storia e a restituirci un quadro molto più ampio in cui si inserisce questa violenza. Il fatto bruto dello stupro che G. porta a compimento – un ragazzo dichiaratamente fascista che fa della sua violenza un’ideologia politica, come d’altronde è il fascismo – si inserisce in un contesto estremamente freddo nel quale la giovane protagonista non può che constatare che parlare di quello che è accaduto significa rompere un equilibrio già fortemente precario. Nel libro la violenza è vista da diversi punti di vista: da chi la vive, da chi la esegue, dalla famiglia e in particolare dal fratello, fino ad arrivare a come lo Stato risponde alla ragazza che vuole denunciare, per giungere – nelle pagine finali – all’amara riflessione sul contesto sociale-lavorativo italiano (romano in particolare) dove la protagonista si trova di fronte ad un ulteriore delusione. Questa ultima parte è particolarmente preziosa per comprendere come una giovane generazione sia stata completamente dimenticata e di come il problema del lavoro femminile sia estremamente attuale. Il lettore quindi non deve soffermarsi solo l’aspetto privato della violenza ma, grazie a questo libro, riesce a comprendere come questa violenza nasca in un contesto specifico e può permanere a lungo poiché gli interlocutori non sono in grado di rispondere in modo adeguato, anche se sarebbe loro dovere farlo. Sta qui, forse, il dolore più grande che si sente avanzando nella lettura del libro. Se infatti la descrizione dell’episodio dello stupro ci fa da una parte sentire impotenti, dall’altra possiamo avvertire aumentare la rabbia per le ripetute delusioni successive che la ragazza vive e che non possono che aggravare un malessere che si intensifica sempre di più.

La protagonista piano piano infatti sviluppa una chiusura in se stessa e un travagliato rapporto con la propria immagine. Inizia l’autolesionismo. Nessuno spezza questo circolo vizioso. Il contesto familiare cattolico preclude qualsiasi tipo di confronto, ma oltre al contesto culturale emerge un vuoto affettivo che viene mascherato solo apparentemente dall’impostazione sociale. Quando la protagonista si decide a raccontare l’accaduto al fratello – la persona con la quale è cresciuta e con cui ha un legame importante – lui non le crede. Non solo però non le crede ma rafforza il legame con lo stupratore (suo amico), identificandosi con lui e diventando ben presto simile a lui, sposando quella mentalità fascista che molto bene è descritta nel romanzo. Il resto della storia va letta, per comprendere come X è un libro attuale e antico al tempo stesso e di come la violenza si esplicita in diversi modi e in vari contesti, anche in quello lavorativo (una violenza socialmente accettata, dove le persone vengono utilizzate semplicemente come mezzi).

Dovremmo ringraziare l’autrice per avere avuto il coraggio di raccontare così la propria storia. Non è usuale e ci dice al contempo che già questo è un primo passo per cambiare le cose, un primo passo per tornare a stare bene. Nel frattempo, chiunque abbia avuto un’esperienza simile potrà ritrovare nel testo l’elaborazione della rabbia ma anche la speranza di cercare e trovare rapporti diversi.

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