Flussi movimentati su Ogives di Erik Satie (uno sfondo di tipo mnemonico-corporeo)

Verranno di seguito descritte alcune procedure didattiche suffragate da vere e proprie costruzioni ritmiche affidate in toto al movimento. Il tutto accompagnato da studi di decelerazione corporea e di memorizzazione istantanea a partire dal brano Ogives n.4 di Erik Satie. Un lavoro utile a sviluppare uno sfondo di tipo mnemonico-corporeo, in grado di porsi come una valida integrazione rispetto allo studio pianistico del brano stesso, da affrontare anche in modo separato e a sé stante.

La mediazione dei passi (trasposizione n.1)

Il lavoro corporeo sviluppato su Ogives n.4 di Erik Satie ha avuto origine, fondamentalmente, da uno spunto di memoria dalcroziana, vale a dire la creazione di una trasposizione fedele tra passi e sequenze ritmiche caratterizzate da figure musicali attingibili dallo spartito di riferimento, in vista di un’interiorizzazione e di un’assimilazione puntuale, fluida e soprattutto potenziata. Il brano risale all’anno 1886 ma fu pubblicato, con dedica a Conrad Satie, nel 1889 a Parigi. Si tratta di un vero e proprio elogio della lentezza. Compare infatti l’indicazione agogica Très lent ed è noto come il compositore francese si sia ispirato alle forme mirabili e affascinanti delle finestre che ritroviamo nella cattedrale di Nôtre Dame, come si può facilmente desumere dal titolo. Si potrà anzitutto notare come, nel nostro caso, le figure musicali presenti (riscontrabili già nell’incipit) siano limitate esclusivamente a valori di minime, semiminime e semibrevi, disposte in senso consequenziale, senza tuttavia il ricorso alle linee di separazione delle battute. In tal senso il brano (come del resto i tre precedenti rientranti nella raccolta) potrà esser considerato, a tutti gli effetti, ametrico.

Essendo il flusso melodico chiaramente diviso in due blocchi distinti, il dispiegarsi dei passi, con andamento cadenzato, è stato gestito secondo l’organizzazione seguente:

primo blocco: passi con spostamento in avanti
secondo blocco: passi con spostamento in senso retrogrado

In alternativa è stata proposta la seguente variante:

primo blocco: passi laterali (con incrocio) da destra verso sinistra
secondo blocco: passi laterali (con incrocio) da sinistra verso destra

Si è trattato in sostanza di progettare un’analogia proficua tra orecchio, corpo e mente. Dalcroze stesso affermava, in proposito, come ogni segno sullo spartito possa essere perfettamente rappresentabile in movimento e suggeriva di partire dal gesto, in particolare dal gesto più semplice e contemporaneamente ritmato, vale a dire la marcia. Tale procedura corporea, sebbene elementare sul piano della fattibilità, ha consentito un’immediata “archiviazione” del substrato ritmico basilare e reso attuabile, volta per volta, anche a distanza di tempo, una rievocazione agevole facendo leva proprio sull’aspetto fisico di sottolineatura delle durate, in virtù dell’attraversamento spaziale. I primi esperimenti sono avvenuti in concomitanza con l’ascolto della composizione pianistica eseguita dal vivo o in forma preregistrata. In quest’ultimo caso è stato interessante soffermarsi sulle differenze – a volte notevoli – inerenti la determinazione e la scelta del tempo di base. Tale aspetto ha più avanti condotto ad approfondimenti ulteriori e particolareggiati. In questo frangente sono state effettuate delle ripetizioni dei movimenti di scansione mediante i passi situandosi nel silenzio, per un’estrapolazione della mera ossatura ritmica fatta oggetto di studio e per un’enfatizzazione dello stimolo motorio, racchiuso nell’alone e nel fascino, per l’appunto, del silenzio.

Il lavoro è stato portato avanti sia individualmente sia in micro-gruppi. Nello specifico sono stati coinvolti allievi/e del corso di pianoforte e inoltre partecipanti ai seminari di ritmica e movimento a loro volta inseriti/e nei laboratori di guida all’ascolto. Per quanto concerne la fasce di età si è verificato un coinvolgimento di ragazzi/e unitamente ad allievi/e di età adulta, modulando tuttavia le consegne, in modo tale da offrire spunti adeguati, di poco differenziati. La compresenza di corsisti e corsiste di età variegata ha reso il progetto a tutti gli effetti interessante e analizzabile sul piano dello svolgimento di un’attività di formazione di tipo trans-generazionale. Con lo scopo di creare una preesistenza rispetto all’ingresso fattivo nel percorso di studio attraverso il camminamento e la marcia, si è anche suggerito di effettuare un confronto diretto tra l’incedere libero e de-misurato (svincolato quindi da qualsivoglia formula o struttura soggiacente di tipo notazionale) e il susseguirsi dei passi al contrario misurati e calcolati, inscrivibili in un piano di costruzione fraseologica prederminata – come dettato dal nostro caso.

L’interesse prioritario a questo punto è stato quello di immettersi in un flusso decisamente comparativo, trasferendo agilmente l’insieme dei passi che potremo definire “svincolati” all’interno di un piano di musicalità ben più allargato e composito, osservabile e inquadrabile attraverso una sistematizzazione definita e chiara, mantenendo purtuttavia la spontaneità tipica del movimento fluente e libero. Evidentemente, nel momento in cui i passi hanno iniziato a sviscerare i valori musicali e ad addentrarsi nel corpo delle durate, sono divenuti oltremodo significativi e funzionali oltreché esemplificativi del percorso ritmico in questione. Più volte è stato chiesto di creare un andirivieni tra le due opzioni suddette, analizzando da un punto di vista qualitativo questo passaggio, notando le diversità a volte sottili ma altre volte consistenti sul piano fisico, psicologico-mentale, ed esperienziale in senso lato. Ma torniamo alla melodia di base.

Sin dall’inizio è stato possibile osservare come il primo blocco si avvalga della presenza aggiuntiva di un valore di minima, in confronto al secondo blocco. Questo rilevamento si è mostrato necessario ai fini di un’adeguata memorizzazione. L’assenza di stanghette è stato lo spunto per discorrere di alcune particolarità stilistiche inerenti i linguaggi musicali tipicamente novecenteschi. A un primo sguardo potrebbe infatti apparire del tutto trascurabile la cancellazione di questo elemento teorico (la linea di separazione delle misure nella fattispecie), ma da un punto di vista storico sappiamo come l’abbandono di una strutturazione metrica estremamente costante, per certi versi rigida e calcolata sia stata una novità più che rilevante in vista della conquista di una dilatazione interna del respiro fraseologico. Un vero e proprio indizio di ricerca per il conseguimento di una maggiore ampiezza, ariosità e apertura dell’assetto strutturale generale. Si potrebbe pensare – in architettura all’eliminazione delle pareti di divisione degli ambienti, per scorgere la portata di questa modifica e avvertirne, anche visivamente, l’impatto peculiare. In ogni caso l’attraversamento del suolo, attraverso forme di camminamento, anche da questo punto di vista è risultato particolarmente convincente e pertinente per lasciar scorgere e intuire come la frase, musicalmente parlando, possa proiettarsi con vigore in avanti, guadagnando una direzione e un’intenzione certamente dilatativa, come se ci fosse un orizzonte più lontano e distante da scorgere.

Nelle Ogives di Satie tale aspetto risulta essere davvero preminente. Sono state effettuate nel frattempo registrazioni accurate dei passi per rendere possibile un riascolto con conseguenti riflessioni in merito. In alcuni momenti ci si è serviti di strumenti ritmici da impugnare durante la camminata per una sovrapposizione puntuale tra l’aspetto manuale (con o senza l’uso di un battente) e l’aspetto dell’incedere vero e proprio, determinato dall’alternanza nell’uso del piede destro e sinistro.

Digressione e studio consequenziale di decelerazione corporea

Dal punto di vista pedagogico a questo punto del percorso è stato creato un innesto, una zona nucleare di studio e di decelerazione corporea al termine della quale (ed era proprio questo il fine predisposto) è stato possibile notare come la percezione personale – in merito al senso di pulsazione fondante- fosse nettamente trasformata.
E così prendendo come punto di riferimento la figura di minima, al termine del percorso, in ciascun/a partecipante si è verificato uno slittamento vistoso in direzione di una maggiore lentezza, aiutata questa volta da uno stato di presenza decisamente più accurato e vigile. Di certo non casuale. Una buona parte degli esercizi di decelerazione ha trovato appoggio nell’uso di oggetti tratti dalla quotidianità. Tutte le azioni sono partite da un andamento spontaneo, ma via via si è chiesto di impostare il lavoro in modo tale che potesse esser fornita da parte ciascuno/a un’interpretazione dell’aspetto decelerante, sviluppando a riguardo una sorta di musicalità, ravvisabile anche da uno sguardo esterno.

In pratica il percorso di decelerazione è stato sottoposto a una interessante personalizzazione e al contempo a una maturazione vera e propria, osservando come si potesse far leva non soltanto sulla razionalizzazione ma, al contrario, su una induzione e, potremo dire, su una necessità propriamente corporea. Di seguito una breve elencazione delle azioni compiute:

◦ atto del pettinare – con una spazzola per capelli o pettine, in forma autogestita o con il supporto
di un compagno o compagna
◦scrittura con una penna o con le dita sulla sabbia (raccolta e distribuita in scatole di grande formato)
◦ masticazione con cibo di natura solida o parzialmente liquida
◦ avvolgimento o svolgimento di un grosso gomitolo
◦ avvolgimento o svolgimento di una tapparella in una finestra o porta-finestra
◦ colorazione di una porzione di disegno dato
◦ pedalata su una cyclette
◦ pronuncia vocale di parole svariate nel corso di un processo di lettura impostato su pagine scelte

Tutte le operazioni si sono svolte – e sono state sperimentate adeguatamente- attraverso un’osservazione di se stessi e se stesse anche allo specchio o mediante l’osservazione altrui. Ecco un insieme di ulteriori azioni suggerite dai partecipanti stessi:

  • allacciare scarpe
  • indossare indumenti o accessori (giacche, cappotti, occhiali, cappelli)
  • sfogliare pagine/ provvedere all’apertura e chiusura di un rubinetto
  • piegare fazzoletti, maglioni, sciarpe, copri-tastiere
  • impiegare forbici.

Le medesime azioni in ordine sparso sono state ripercorse e riformulate solo attraverso l’uso dell’immaginazione, in posizione seduta. L’aspetto della decelerazione è stato indagato all’insegna della gradualità. Immancabile un rimando al ruolo del respiro e una constatazione delle sue evoluzioni, dei suoi cambiamenti lungo l’itinerario.

Verso una valorizzazione vocale e strumentale (anche mediante simulazioni)

Prima di tornare al movimento con nuove sequenze e ipotesi di lavoro è stato avviato lo studio vocale della melodia di base, accompagnato da un approfondimento di stampo intervallare e di pari passo, per gli allievi e allieve pianiste, uno studio accurato del brano al pianoforte. In questa fase sono state rilevate e analizzate anche le strutture accordali, che vanno a generare un forte contrasto con la melodia di base, soprattutto le sequenze che si avvalgono di raddoppi di ottave. Unitamente allo studio pianistico effettivo e tradizionale è stato avviato uno studio simulato, con lo scopo di rafforzare una conduzione anche solamente mentale delle frasi. Le simulazioni in questo caso hanno riguardato le posizioni della mano e più selettivamente le dita della mano destra e sinistra in assenza di una restituzione di suono. Ci si è avvalsi effettivamente di una procedura di canto silenzioso, vale a dire condotto internamente (e mentalmente tracciabile). Questa procedura ha avuto luogo dapprima sui tasti, privandosi dell’abbassamento degli stessi e, in seguito, su un tavolo, riproducendo e riformulando a mente le specifiche distanze e posizioni, valorizzando una forma di visualizzazione interna della tastiera. Infine il percorso melodico di base è stato nuovamente ricreato (e impostato internamente col canto) a ridosso di una tastiera silenziosa interamente in tessuto.

Il trasferimento del movimento agli arti superiori

In seguito all’indagine iniziale affidata ai passi l’attenzione è stata portata sulla parte alta del corpo e in particolare sugli arti superiori. Per i movimenti delle braccia si è fatto riferimento alle forme a ogiva tipiche delle finestre che hanno ispirato il brano. Le braccia, in tal senso, hanno provveduto a ridisegnare l’elemento geometrico – figurale in questione.

Per la prima volta è stata creata una differenza di azione nella restituzione gestuale della minima e della semiminima. In rapporto alla prima il movimento è stato realizzato dalle due braccia contemporaneamente, per quanto concerne la semiminima invece il movimento è stato affidato a un braccio singolo per volta, in modo che potesse comunque esserci alternanza. I movimenti sono stati proposti con diverse varianti:

◦ con le mani e le braccia tendenti verso il vertice disposto idealmente in alto
◦ con le mani e le braccia tendenti verso il vertice da immaginare disposto verso il basso.

Inoltre con il busto in leggera torsione verso destra e a seguire verso sinistra e con il movimento delle braccia questa volta parallelo al suolo.

L’estemporaneità come risorsa

La melodia ormai collaudata ha subito un processo di modificazione istantanea attraverso un duplice schema di riferimento:

◦ mantenendo lo schema ritmico ma modificando le altezze (preservando l’impianto scalare)
◦ modificando lo schema ritmico ma mantenendo le altezze nella loro successione di base

Ne sono sortite improvvisazioni svariate, dal sapore a tratti straniante. Tornando ad “abitare” il movimento si sono volute aggiungere, nel lavoro collettivo, delle interessanti sovrapposizioni e commistioni, volutamente scombinate, possibilmente portate avanti senza influenze reciproche. La consegna è stata quella di affidarsi a un incedere oltremodo diversificato, eludendo totalmente il parallelismo e la sincronizzazione tra i vari membri del gruppo. Individualizzando dunque il proprio percorso per generare un contrasto decisivo e degno di interesse. Il medesimo esercizio è stato poi affrontato anche attraverso il canto e infine sugli strumenti presenti (il pianoforte, con più partecipanti in compresenza, posizionati nei vari registri e, inoltre, servendosi di strumenti a barre).

Conclusioni

Il tragitto didattico ha avuto il suo svolgimento sia mediante una serie di incontri effettuati con cadenza settimanale, sia in forma intensiva, con una lezione unica di tipo continuativo che abbracciasse un arco temporale di circa 4 o 5 ore come minimo, per estendersi eventualmente a una durata di almeno sei o sette ore, con pausa intermedia. Alcuni allievi o allieve hanno mostrato disponibilità a cimentarsi in entrambi i percorsi per poter trovare un diverso adattamento, suscettibile di osservazioni e per poter testare con mano le diversità in termini di risultati, di concentrazione e ambientazione seguendo – nel secondo caso – un prospetto fortemente immersivo.
La formula intensiva si è dimostrata preferibile poiché ha dato modo di privilegiare il senso di continuità, particolarmente pregnante e probabilmente più avvolgente in rapporto alle proposte di indagine suggerite. L’ultimo tassello del lavoro – essendo l’edificio dotato di scale interne – ha portato a sperimentare e riprodurre la sequenza dei passi sui gradini presenti, attraverso forme di saliscendi silenziose o ancora avvalendosi di cuffie collegate con smartphone o apparecchi analoghi, per un ascolto concomitante e diretto del brano. Anche in questo caso il tutto è avvenuto all’insegna dell’esplorazione, attraverso esperienze individuali e collettive.

Anna Laura Longo

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