La scapigliatura italiana

Tra il 1860 e il 1870 le città di Milano e di Torino vedono nascere un movimento letterario che si affermerà poi in tutta la penisola e che prende il nome da un romanzo di Cletto Arrighi (pseudonimo anagrammato di Carlo Righetti) del 1962: “La scapigliatura e il 6 febbraio”. Pur non essendo una scuola o un movimento organizzato, la scapigliatura – libera traduzione del termine francese “bohème”, per indicare la capigliatura anticonformista degli artisti parigini definiti appunto come “bohèmien” – rappresenta un momento fondamentale nella storia della cultura italiana dell’Ottocento e la via che ha poi condotto al verismo e al decadentismo.

Il tratto che accomuna gli scapigliati è l’opposizione alla mentalità e ai modelli tipici della cultura borghese, in favore di un rinnovamento nell’espressione artistica che prende come esempio le esperienze letterarie di altri Paesi, quali il naturalismo e il “maledettismo” francese, l’umorismo inglese e tedesco, il genere fantastico. Oltre all’ideale parigino del poeta maledetto rappresentato da Charles Baudelaire, molti sono i riferimenti stranieri che hanno ispirato gli scapigliati. Tra questi Hoffmann, Heinrick Heine, Jean Paul, Mary Shelley, Edgard Allan Poe.

Il ripudio di tutto ciò che rappresenta la tradizione, la rivendicazione di una libertà assoluta dell’artista e la ricerca dell’originalità non coinvolgerà soltanto la letteratura, ma anche le arti figurative (con esponenti quali Tranquillo Cremona, Daniele Ranzoni, Giuseppe Grandi, Francesco Filippini), la musica (Arrigo Boito, Franco Faccio, Alfredo Catalani, Amilcare Ponghielli e Giacomo Puccini, che esprime molto bene i temi della scapigliatura italiana e dei movimenti parigini nella sua opera lirica “La Bohème”), come anche il modo di vivere e i costumi sociali.

colazione dei canottieri

Lo spirito è quello di rinnovare i contenuti, indagare sull’onirico, il favoloso, il macabro, in modo talvolta anche esaltato, utilizzando spesso toni ironici e sarcastici. Tutto ciò con l’intento di contestare e scardinare in modo radicale le norme prestabilite dalla classe sociale dominante, a costo di condurre una vita difficile (appunto la “vita da zingaro” dei bohémien), ai margini di quella società che ovviamente non li accetta e li emargina, in condizioni economiche e anche di salute spesso precarie, che porteranno alcuni di essi alla morte per malattia o all’abuso di alcool e di droghe, proprio come i protagonisti delle loro opere.

Dal punto di vista politico, gli scapigliati rifiutano i modelli dominanti, riconoscendosi per lo più nell’estrema sinistra storica di Felice Cavallotti o avvicinandosi agli ideali anarchici, seppur non al movimento istituzionale. La scrittura e l’arte in generale diventano strumenti per esprimere la ribellione alle convenzioni borghesi, banchi di prova per trasgredire e provocare, sperimentare linguaggi che vanno al di là del romanticismo “accademico” (quello del Manzoni, di D’Azeglio, del Carducci, per intenderci), facendo anche diventare il parlato e il dialetto tratti distintivi del movimento.

Per fare dei nomi, oltre al già citato Cleto Arrighi (ma molti furono gli scrittori e i giornalisti meno noti che aderirono al movimento) tra gli scapigliati milanesi si possono annoverare autori quali Carlo Dossi, Giuseppe Rovani (considerato uno dei precursori della scapigliatura), Emilio Praga, Arrigo e Camillo Boito, Igino Ugo Tarchetti. Tra i piemontesi: Giovanni Faldella, Achille Giovanni Cagna, Roberto Sacchetti, Giovanni Camerana. Anche Vittorio Imbriani, pur napoletano, e quindi geograficamente lontano dal gruppo “storico”, si riconduce agli ideali della scapigliatura, così come ne hanno tratti evidenti le opere più tarde di autori quali Gian Pietro Lucini, Carlo Linati e Carlo Emilio Gadda.

Il movimento vede anche una “seconda scapigliatura”, con l’opera di autori che, rifacendosi ai concetti degli scapigliati della prima ora, hanno avuto come intento principale quello della denuncia sociale.
Tra questi, Paolo Valera, giornalista e scrittore lombardo, militante anarchico e poi socialista, fondatore del settimanale “La folla”, che ha lasciato un gran numero di opere che testimoniano il suo profondo impegno sociale.

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