Sognavo il socialismo, mi ritrovo sui social network

Quando, adolescente, ho iniziato ad interessarmi alla politica era già molto chiaro che comunismo e socialismo avevano fallito. Eravamo a cavallo del 2000 e dirsi comunisti in quegli anni era veramente difficile. Quasi un vezzo per nostalgici.
Troppo evidenti gli errori, troppo chiaro il fallimento. E questo mi salvò, ci salvò – a noi nati a metà degli anni ’80 – dalla delusione che visse la generazione di sinistra nata anche solo dieci anni prima.

Per me se aderire o meno ad una ideologia, se essere o no comunista, semplicemente non è stato mai un quesito. Era tutto già bello che passato. Un passato però non lontano la cui eco arrivava inevitabilmente a chi in quegli anni iniziava a chiedersi se effettivamente quello in cui si viveva era l’unico mondo possibile.

Ragazzo guarda il mare

Se gli errori fatti complessivamente da quel movimento erano evidenti quantomeno negli esiti, se non addirittura chiari nei presupposti teorici, era anche però facile sentire che le generazioni precedenti avevano vissuto nella concreta speranza di rendere il mondo un posto migliore.

Ecco, questa speranza concreta noi degli anni ’80 non l’abbiamo mai avuta. Anche noi, naturalmente, vivevamo di slanci ideali, di contestazioni e di ribellioni – ché quello è proprio un fatto di età, una questione personale. Ma pensare realmente, concretamente, che le cose sarebbero potute cambiare (parlo della sfera pubblica), credo che gran parte di noi non l’abbia mai fatto. Perchè in effetti sarebbe stata un’illusione priva di fondamento.

In sostanza io, come credo molti coetanei, pur sentendo distintamente di essere di sinistra non ho mai preso parte, e in fondo mai neanche creduto, a nessun partito o movimento politico. Non per disinteresse ma perché per partecipare a qualcosa bisogna farne parte e io semplicemente non ne facevo parte.

Eppure devo dire che una certa ‘nostalgia impossibile’ per qualcosa di mai vissuto la sentivo.
Del socialismo non sognavo certo gli esiti disastrosi dell’URSS, i paludati politici post-comunisti e le noiossissime assemblee proletarie; assemblee alla cui versione sbiadita pure, purtroppo, negli anni liceali ogni tanto toccava partecipare. Sognavo appunto una possibilità reale di trasformazione dei rapporti sociali e politici.
In quel grandioso movimento, quella ‘cosa’ enorme che chiamavano comunismo/socialismo/sinistra, qualcosa di buono doveva pur esserci stato.

Cosa di buono fosse accaduto non era mica facile da capire. Almeno per me. Perché di fatto la generazione dei nostri genitori raccontava molto poco e confusamente. Il discorso pubblico e in seguito le lezioni universitarie non sono stati di nessun aiuto perché erano incentrati su cosa non era andato bene, quasi tutti si limitavano a sottolineare il fallimento. Le destre gongolavano stupide e ironiche, gli intellettuali di sinistra si ripiegavano in infinite autoanalisi per purificarsi la coscienza.

Per capirci qualcosa in effetti non c’erano molte alternative, toccava ritagliarsi un po’ di tempo e scontrarsi con l’immane letteratura prodotta dalla sinistra. Una mole di libri sterminata e un po’ angosciante in cui immaginavo racchiuso il segreto più intimo del mondo. Per trovare anche solo una manciata di ‘libri giusti’ di anni ce ne sono voluti parecchi.

A procedere così a tentoni si rischia in effetti di leggere di tutto. Però così, diciamo ad intuito, qualcosa l’ho anche imparata. Per esempio, ho letto di Karl che voleva eliminare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e di Rosa che è morta ammazzata (“siccome disse ai poveri la verità”) e di Antonio, geniale e bello, che divenne per me l’esempio di cosa voleva dire essere un essere umano.

Di anni dall’adolescenza ne sono passati una quindicina e devo dire che anche oggi “comunista” non mi direi mai. Invece “socialismo” e “sinistra” sono parole che da quella storia manterrei, parole che continuo a considerare importanti. Tra le tante cose che mi tengo c’è sicuramente un’idea che mi colpì sin da quando ero ragazzo: un modo diverso di rapportarsi tra le persone, più pulito, equo e affettivo. Un diverso modo che però non si limita ai rapporti personali ma che travalica nella dimensione pubblica, in delle istituzioni reali che favoriscono il libero sviluppo degli individui.
In breve, la possibilità reale che una socialità migliore sia concretamente realizzabile.

In Italia sembra invece che la parola “socialismo” sia completamente scomparsa e che pure “sinistra” non se la passi granché. E’ sicuramente più evidente lo sforzo fatto per dimostrare che il socialismo sia una reliquia del passato e che “sinistra” non significhi niente piuttosto che il tentativo di riempire di contenuto queste due parole.

Questa scomparsa devo dire che mi preoccupa non poco.

Quasi ironicamente, mentre ormai per sentir anche solo pronunciare “socialismo” bisogna guardare Rai Storia, giornali web e televisioni sono tutte un proliferare di parole inglesi che con socialismo condividono la radice. Social, social network, social media…(E tra l’altro io con i social ci lavoro proprio, ogni giorno).
Questo un po’ mi colpisce. Mi viene da pensare che sono tanto abituato a confrontarmi con i social network quanto un’impossibile ‘me’ nato vent’anni prima sarebbe abituato a confrontarsi con il socialismo.

Se non ha credo nessun senso mettersi a demonizzare queste piattaforme 2.0, ne tantomeno il web in generale, penso invece che sarebbe importante che noi operatori del settore divenissimo consci delle serie problematiche che l’impiego massivo dei social sta portando alla sfera sociale, quella vera.

E’ proprio il particolare nome che hanno i social, con questa etimologia così importante nella storia degli ultimi secoli, che dovrebbe avvisarci che quello che sta accadendo sotto i nostri occhi è qualcosa di rilevante.

Ho sempre pensato che sia possibile un utilizzo normale – sano, se si può dire – di ogni strumento di comunicazione. E vale anche per i social. Nel senso che in effetti non c’è niente nei social network in sé che non vada bene.
E’ però anche vero che i mezzi di comunicazione non sono assolutamente neutrali. Ogni mezzo di comunicazione influenza necessariamente la comunicazione stessa. E la influenza in molti modi. Non è un problema, sono gli strumenti che sono fatti così. Alla televisione non si può rispondere, telefonando non si può vedere la persona con cui si sta parlando, scrivendo una lettera non ci si può esprimere con la voce. I mass media sono sempre selettivi e confrontati con il rapporto personale diretto appaiono sempre estremamente poveri.

Mi viene da dire che, in un rapporto che avviene tramite un mezzo di comunicazione, è più difficile instaurare una sincera relazione tra i comunicanti. Possibile certo, ma più difficile perché c’è una distanza di partenza che bisogna saper colmare. Una distanza fisica ma anche emotiva.
E, soprattutto, utilizzando un mezzo di comunicazione è più facile fingere. C’è tanto, tantissimo, di ‘finto’ quando si parla di mass media.

I social confrontati ai mezzi di comunicazione precedenti sembrano simulare in modo molto più realistico le relazioni interpersonali dirette.
Che il telefono come strumento selezioni solo una particolare e parziale modalità di rapporto è molto semplice e trasparente: si sente solo la voce e di una sola persona per volta.

Anche Facebook è selettivo, ma è una selettività più nascosta. Facebook in gran parte mima, trasporta nel virtuale, una socialità diretta. E’ possibile una comunicazione visiva, testuale, audio, a due o a a gruppi. Permette di raccontare parte della propria vita. Proprio per queste caratteristiche intrinseche allo strumento è più semplice ingannarsi e pensare che ogni relazione intercorsa su Facebook sia sic et simpliciter assimibilabile ad una relazione diretta.
In realtà anche Facebook è uno strumento selettivo. Anche su Facebook c’è una distanza di partenza tra le persone che bisogna saper colmare e, soprattutto, anche su Facebook è estremamente facile fingere.

Questa facilità di finzione ha portato a forme evolute di gestione della propria immagine sui social. E’ comprensibile che si gestisca una immagine in un’ottica di marketing quando si parla di brand ed aziende, ma quando si tratta di rapporti tra persone gestire una immagine che non si ha è semplicemente inganno e falsità.

La sensazione è che i social più che la nuova e concreta socialità immaginata dal socialismo stiano amplificando una socialità fatua e astratta. Non sempre, non necessariamente, ma spesso e volentieri.

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