Se fossi vera

Se fossi Vera” è un libro di Alessandra Buschi pubblicato nel 1999 dalla casa editrice Fernandel. Il testo, finalista al premio Mastronardi di Vigevano per la narrativa, è composto da tre racconti.

alessandra-buschi

Se fossi Vera, il primo dei tre racconti, dà il titolo all’opera. Quando è stato scritto, più di vent’anni fa, i lettori più accorti ne recepirono la carica innovatrice nel modo in cui l’autrice affrontava la disabilità. Questa carica innovatrice evidente al tempo, probabilmente sfuggirà al lettore contemporaneo. La strada aperta da Buschi è stata infatti poi più volte seguita da autori e registi, anche con ottimi risultati artistici, tanto da poter essere considerata un filone letterario a se stante. Le tecniche narrative utilizzate originalmente dalla scrittrice a fine anni ’90 suonano quindi oggi usali e consuete. E’ proprio questa “perdita” della carica innovatrice, insomma, che indica il ruolo notevole che il racconto merita di avere nella letteratura italiana contemporanea.

Se fossi Vera è un antesignano di una modalità narrativa che si è poi affermata sia in ambito letterario che cinematografico, è uno dei primi riusciti tentativi di immedesimazione psicologica dell’artista in una personalità problematica. Alessandra Buschi decide infatti di far narrare la storia in prima persona a Paola, la protagonista, una ragazza “con dei problemi”. Un’operazione rischiosa ed innovativa nel ’99 che ha aperto la strada ad una lunga serie di romanzi, film e serie tv, che affrontano le disabilità e le fragilità psicologiche – specie dei giovani – narrandole in prima persona.

Nel corso del racconto, essendo Paola l’unica narratrice, non veniamo mai a sapere quali precisamente siano questi “problemi” di cui è affetta. Il lettore non conosce insomma, così come Paola, la diagnosi. E pur tuttavia la ragazza si mostra decisamente consapevole dell’entità e delle caratteristiche del suo disturbo.

Paola intraprende un lungo dialogo rivolto a se stessa e al tempo stesso rivolto agli altri, in cui racconta della sua realtà e di quello che ha vissuto. In questa storia, quasi fino alla fine del testo, Paola sembra dover giustificare la sua presenza, la sua persona e la sua “differenza”.

Paola doveva essere chiamata Vera – da qui il titolo del racconto – come la madre avrebbe voluto. Il padre invece rifiuta di darle questo nome. Paola sembra comunque sviluppare un confronto tra se stessa e l’altra, Vera, la persona che avrebbe dovuto essere se fosse stata diversa, senza “problemi”.

L’autrice Alessandra Buschi, parlando in prima persona nei panni di Paola, mette nella scrittura una vera e propria sequenza di pensiero, quasi un flusso di coscienza, e un particolare modo di ragionare. Piano piano emerge la vita stessa della protagonista e della sua quotidianità.

Quasi un flusso di coscienza. E’ proprio nell’originalità dello stile narrativo – a cavallo tra le sperimentazioni beat, l’argomentazione logico-razionale del saggio e il periodare ampio della migliore letteratura classica – che l’immedesimazione della scrittrice nella psicologia problematica di Paola prende forma e corpo.

Il lavoro a maglia è l’attività principale di Paola, lavoro che porta a termine con competenza, nonostante i “problemi”. La ragazza riesce a sviluppare quindi una capacità manuale che non è da tutti e per la quale ci vuole costanza, pazienza e precisione. Il tempo passato in casa a lavorare con la madre, fa emergere il rapporto proprio con colei che l’ha messa al mondo, che ha fatto nascere un essere umano costretto ad un trattamento “speciale”, diverso rispetto ai suoi coetanei. Paola ricostruisce anche la sua infanzia, la sua storia di bambina che diventa adolescente. Il suo modo di descrivere e raccontarci la vita e quella di chi le sta intorno – in particolare quella dei suoi fratelli che hanno una vita normale, un lavoro, una storia d’amore – è estremamente vero, senza filtri. Paola vede il mondo per quello che è, quasi ingenuamente (anche se ingenua non è). Le piccole cose della vita quotidiana – nelle parole della protagonista – fanno affiorare nella mente di chi legge ricordi che sembrano sommersi ma che vivono ancora in noi. In fondo non viene descritta solo la realtà di un ragazza con i suoi problemi, ma anche uno spaccato della realtà di una piccola cittadina di provincia che potrebbe risuonare ai più.

Nel racconto di se stessa la protagonista sembra avere uno sguardo su di sé e sul suo microuniverso talmente chiaro da risultare immediato. Il suo rapporto con il mondo riesce a riportare il lettore ad una dimensione di vita gentile e lontana. Alcuni momenti del racconto sono estremamente indicativi del modo di vivere i rapporti affettivi di Paola. Ad esempio il rapporto con la suora che le ha insegnato a cucire in tutti i modi possibili, quello con il Babbo con cui va sempre al cinema (fin tanto che lui non si ammala) e con i fratelli (tra cui la sorellina più piccola) o il valido rapporto con la madre, che appare come una guida forte capace di sostenerla nelle difficoltà.

Ma sopratutto – tema centrale del racconto – è il suo rapporto con Celeste, “Celè”. Ed è proprio parlando di Celè che emerge tutta la bellezza della protagonista che tiene e conserva dentro di sé un amore che, anche se non si spiccherà mai il volo, saprà comunque essere abbastanza grande da darle un insegnamento niente affatto scontato. Cosa significa, alla fine di tutto, essere vera?

E’ su questa domanda che si svolge il racconto pagina dopo pagina e alla fine è possibile intuire una risposta.