Su Lemona abbiamo analizzato diverse posizioni che hanno caratterizzato la “disputa” analitica sulla definizione di arte. I saggi di cui ho scritto sono solo alcuni dei tantissimi testi prodotti sul tema.
Un altro autore che meriterebbe sicuramente molto più spazio in questa ricostruzione del dibattito analitico sulla definizione di arte è Nelson Goodman, considerato uno dei filosofi più autorevoli degli ultimi anni. Soprattutto per mancanza di tempo e di conoscenza a riguardo, mi limito a proporvi un paio di citazioni che possono essere utili ad inquadrare la posizione di Goodman all’interno della questione.
Anche Goodman è infatti intervenuto nel dibattito, e tuttavia non ha proposto una vera e propria definizione, ma si è limitato a rilevare alcuni “sintomi dell’estetico“; prima nel suo libro probabilmente più noto, i Linguaggi dell’arte [Goodman, Nelson, Languages of Art: An Approach to a General Theory of Symbol, Indianapolis, Bobbs-Merrill 1968] e successivamente nel testo Quando è arte [Goodman, Nelson, When is Art?, in Ways of Worldmaking, Indianapolis-Cambridge, Hackett 1978; trad. it. di Alfonso Ottbre, in Kobau, Pietro; Matteucci, Giovanni; Velotti, Stefano, a cura di, Estetica e filosofia analitica, il Mulino, Bologna 2007] in cui vengono individuati cinque “sintomi dell’estetico”. Già dal titolo di questo saggio traspare la prospettiva anti-essenzialista di Goodman:
Goodman, che è stato forse il filosofo più radicalmente nominalista del Novecento (che si è rifiutato, cioè, di riconoscere consistenza ontologica a classi, proprietà, tipi, essenze, impegnandosi ontologicamente solo con individui), pensa in generale che noi costruiamo il mondo (o i mondi) che esperiamo mediante l’uso di simboli, nella percezione e nel linguaggio, nelle scienze e nelle arti.
[S. Velotti nella presentazione a N. Goodman, Quando è arte, cit., p. 74]
Un’opera d’arte è, a dire di Goodman, un simbolo di varia complessità che chiamiamo “artistico” quando presenta alcuni sintomi:
Mi arrischio a proporre che ci sono cinque sintomi dell’«estetico»: 1) densità sintattica, dove le differenze di grana più sottile costituiscono per certi aspetti differenze tra simboli; […] 2) densità semantica, dove sono prodotti simboli per cose distinte sotto certi aspetti da differenze di grana più sottile […]; 3) pienezza relativa, dove relativamente molti aspetti di un simbolo sono significanti […]; 4) esemplificazione, dove un simbolo, non importa se denota o meno, simboleggiare il fatto di servire come un campione di proprietà che esso possiede letteralmente o metaforicamente; e infine 5) riferimento multiplo e complesso, dove un simbolo realizza svariate funzioni referenziali integrate e interagenti, alcune dirette e altre mediate da altri simboli simboli.
[N. Goodman, Quando è arte, cit., pp. 83-84]