Tra le opere d’arte più celebri che la cultura occidentale abbia elaborato e restituito alla contemporaneità c’è il Mosè di Michelangelo. Si tratta di una scultura in marmo datata al biennio 1513-1515 che è attualmente conservata tra le mura della basilica romana di San Pietro in Vincoli nello splendido quartiere Monti.
Alta 235 cm, questa colossale scultura marmorea fa parte del mausoleo realizzato dall’artista per la tomba di Giulio II (1503-1513), il papa che ha commissionato il complesso scultoreo in questione a Michelangelo quando era ancora in vita.
L’opera fu completata in circa trent’anni: il progetto originario dell’opera datato al 1513 fu ripreso dopo la morte del papa, probabilmente intorno al 1516, quando furono apportate alcune modifiche nella disposizione dei personaggi. Giulio II è sepolto nella basilica di San Pietro e la genesi dell’opera non fu priva di problematiche e momenti di pausa tanto da essere definita dallo stesso artista “la tragedia della mia vita”. Tra questi momenti critici è possibile annoverarne uno di tipo strutturale, ovvero la comparsa di una venatura scura in fase di lavorazione e in prossimità del viso di Mosè, episodio che spinse l’artista a ricercare un nuovo blocco di marmo che iniziò a lavorare in seguito attorno al 1519.
La statua fu così collocata inizialmente nel coro di Santa Maria sopra Minerva; sappiamo inoltre che a causa di una torsione, un ventennio dopo la sua elaborazione, si decise di apportare delle modifiche alla versione originaria. Sarebbe questa la ragione alla base della strana posizione della barba del profeta che è girata verso sinistra. Siamo nel 1542, periodo al quale risale, ancora, un’altra modifica strutturale: Michelangelo avrebbe girato la testa e il corpo di Mosè e sono diversi gli studiosi che confermano queste ipotesi di rivisitazione in corso d’opera di progetti originari legati all’opera.
Il progetto complessivo del mausoleo sarebbe stato sottoposto a più ripensamenti; infatti la statua di Mosè era stata concepita come una di ben quaranta statue a tutto tondo e si ritrova a essere la statua principale del complesso dedicato al papa.
Sotto il profilo estetico, ciò che colpisce immediatamente di questo capolavoro statuario sono il carattere, la forza realistica, la presenza anatomica del personaggio qui rappresentato, tratti paradigmatici della migliore produzione michelangiolesca. Tutto di quest’opera sembra esprimere e manifestare la potenza del divino e la superiorità morale del personaggio attraverso una reale e concreta presenza fisica, terrena. In particolare, il realismo che caratterizza Mosè doveva essere evidente agli occhi dello stesso Michelangelo; secondo quanto raccontato da un famoso aneddoto, al termine della sua realizzazione, l’artista avrebbe addirittura sollecitato la statua a parlare.
Sotto il profilo iconografico è possibile individuare un tema ben preciso legato al racconto veterotestamentario: la consegna dei Comandamenti sul Monte Sinai e la successiva ira sperimentata dal Patriarca quando si accorge che gli Israeliti erano in procinto di adorare altre divinità, in particolare il vitello d’oro.
Mosè è rappresentato con barba rivolta a sinistra, seduto, con piede destro poggiato a terra. Il braccio destro regge le tavole della legge che però sono rovesciate. La statua del profeta si contraddistingue per l’atteggiamento maestoso e per il realismo che ne pervade ogni sezione. Sulla testa di Mosè sono presenti delle corna, elementi iconografici che appartengono alla tradizione legata al personaggio come evidenziato nel Libro dell’Esodo.
Le corna presenti sul capo del soggetto scolpito possono dunque essere legate a un’interpretazione letterale della versione dell’episodio raccontata nella Vulgata. Qui si parla di “corna”, ovvero “keren” ma in realtà si tratta di un probabile errore di traduzione della versione iniziale in quanto il termine originario è appunto “karen”, ovvero “luce”. Nel racconto biblico si tramanda infatti che Mosé aveva due raggi di luce che partivano dalla fronte.
A colpire è lo sguardo “terribile” del profeta, spesso identificato con lo scultore rinascimentale, a causa del suo carattere severo.
Per quanto riguarda l’intero complesso statuario, osservando l’opera attuale e soprattutto considerando i progetti, è possibile notare che si presenta equilibrata a livello compositivo; equilibrio conservato anche dalla presenza dei due celebri Schiavi, lo Schiavo ribelle e lo Schiavo morente, sempre scolpiti da Michelangelo ed oggi conservati al Louvre. I due personaggi rappresenterebbero secondo il culto neoplatonico la lotta dello spirito umano per svincolarsi dai legami del mondo materiale.
Dei due personaggi colpisce il dinamismo dello Schiavo ribelle che sembra non arrendersi al proprio destino e si impegna con tutte le sue forze per sottrarsi ad esso, con una tensione unica, che contraddistingue questa testimonianza scultorea e la rende emblematica della condizione dell’intera umanità e del suo procedere tra spirito e materia, tra tensione e aspirazione verso il mondo dello spirito e attaccamento al mondo dei sensi.
Ai lati di Mosè invece compaiono Lia e Rachele, due personaggi femminili veterotestamentari spesso interpretati come allegorie della vita attiva e di quella contemplativa.