Fondamentale è l’adeguazione dell’oratore all’uditorio, sia per quanto vale le premesse, sia per le argomentazioni tramite le quali si trasferisce l’adesione da queste alle conclusioni.
Esercizio utile: prendere in esame alcuni discorsi persuasivi e cercare di applicare le categorie argomentative di Perelman riguardo legami e dissociazioni.
La struttura del reale è presupposta e su di essa si impernia il trasferimento dell’adesione, come ad esempio un argomento basato su causa-effetto; se si vuole fondare una nuova struttura del reale si deve far ricorso agli esempi o alle induzioni, vale a dire dal particolare si deve risalire all’universale.
La nozione di argomento quasi-logico viene presentata attraverso un confronto con la nozione di argomento logico. Perelman confronta il primo argomento con il secondo attraverso le somiglianze e le differenze. Un argomento è (approssimativamente) determinato da una coppia P1, P2, … , Pn, C → vale a dire da premesse e conclusione. Questo è deduttivamente valido se NECESSARIA-MENTE le premesse sono tutte vere e la conclusione è vera; detto altrimenti è impossibile che le premesse siano tutte vere e la conclusione falsa. Invece di “argomento deduttivamente valido”, Perelman usa espressioni come “dimostrazione vincolante” o “ ragionamento formale”. Perché? La prima alternativa può essere usata in qualunque circostanza possibile X se un soggetto S ha le seguenti caratteristiche:
- S deve comprendere in X che un argomento A è deduttivamente valido;
- S deve accettare le premesse di A come vere.
Queste premesse non bastano affinché S accetti la conclusione perché, ad esempio, potrebbe non essere interessato alla verità. Dunque un’altra caratteristiche deve essere: - S deve essere primariamente interessato alla verità in X;
- S dovrebbe accettare la conclusione di C ad A; non nel senso che vi sia una necessità causale, od una necessità logica ma per motivi non logici, “meta-logici”, ad esempio perché S è “irrazionale”.
Accettate queste caratteristiche si può dire che la dimostrazione è vincolante; tuttavia la condizione #4 non è sempre accettata perché, ad esempio, S potrebbe essere stupido, folle o dogmatico.
Perelman parla poi di “ragionamento formale” perché sin da Aristotele i logici hanno cercato di classificare gli argomenti deduttivamente validi in base alla loro forma, trattando come variabili le espressioni che apparivano rilevanti. Perelman tuttavia ha commesso un errore quando ha affermato che “la conclusione è vera solo se le premesse sono vere” e questo si è già dimostrato che non è così, poiché le premesse possono essere false e la conclusione vera. Poiché tutti gli argomenti che hanno la stessa forma individuata dai logici sono deduttivamente validi, si può dire che essi sono validi in virtù della forma; in questo senso sono argomenti formali.
Un argomento quasi-logico è un’approssimazione ad un argomento deduttivamente valido, sembra un argomento deduttivamente valido; potrebbe essere trasformato in un argomento deduttivamente valido aggiungendo una premessa mancante o fissando una delle possibili interpretazioni dei termini, eliminando così l’ambiguità che li caratterizza. Le premesse inespresse di un’argomenta-zione quasi-logica operano in modo tacito, anzi operano meglio quando restano inespresse, perché non possono venire confutate; qualora invece vengano messe alla luce, possono venire criticate da chiunque, rischiando così di far cadere l’intera argomentazione. Per evitare malintesi o ambiguità, si può andare oltre la parola e ricercare il vero senso dell’argomentazione nel carattere dell’oratore, nel contesto storico-politico, etc…
Un’ambiguità può essere usata a proprio favore, ad esempio interpretandola in modo positivo, oppure come “scappatoia” qualora sia contro di noi; si può sfruttare l’ambiguità per dimostrare che ciò che sembra una contraddizione in realtà non lo è; certamente la fama positiva od il credito dell’autore o dell’oratore sono elementi importanti per la riuscita dell’argomentazione. Un’incompatibilità si risolve reinterpretando uno dei due poli o abbandonandolo; il secondo caso si usa quando è impossibile interpretare diversamente uno dei due casi. L’alternativa è quella di cadere nel ridicolo qualora si cada in una palese incompatibilità. Come si evita un’incompatibilità?
- Un’incompatibilità si può evitare tramite un atteggiamento logico, che mira a prevenirla; si vagliano tutte le argomentazioni ed i termini utilizzati al fine di prevedere possibili ambiguità e critiche, così da essere preparato nel caso in cui queste si verifichino. Certo, vagliare TUTTE le alternative e possibilità è cosa non semplice.
- L’atteggiamento pratico consiste invece nell’esaminare il caso singolarmente qualora si verifichi un’incompatibilità.
- L’atteggiamento diplomatico è invece un modo diverso di prevenire; il logico previene modificando la disposizione verbale dell’argomentazione onde evitare ambiguità e possibili interpretazioni, mentre il diplomatico cerca di evitare quelle situazioni che potrebbero causa imbarazzi od ambiguità. Egli dunque farà in modo che la situazione spinosa non si produca o se si produce farà in modo di non vederla, addirittura ricorrendo alla menzogna. Ovviamente non si può ignorare tutte le critiche né mentire sempre; la scelta sgradevole viene ritardata, non evitata.
- definizione normativa, che prescrive l’uso di un termine;
- definizione descrittiva, che attesta l’impiego formale
- definizione nominale, che mostra un uso convenzionale di un termine.
- definizione complessa, che utilizza le altre tre specie.
L’altro argomento quasi-logico concerne l’uso del principio di identità; un’identità formale sfugge alla controversia e trasferisce direttamente l’adesione dalla premessa alla conclusione. Nel discorso comune, non formale, un’identità formale non si ha quasi mai. Il parallelo non formale dell’identità è chiamato da Perelman “identificazione”; sembrano argomentazioni che non si possono discutere o negare ma in realtà non è così. L’identità concerne la definizione di un oggetto. Vi sono quattro specie di definizione:
Le definizioni sono davvero arbitrarie? O sono in verità “metafisiche”, inconfutabili in quanto mostrano l’essenza della cosa? Una definizione può in effetti essere messa in discussione, in quanto si può dimostrare che essa non rivela l’essenza della cosa. Qualora si sia già stabilita la “verità” di una definizione, tuttavia, sarà inutile o nocivo rimetterla in discussione, perché altrimenti si dovrebbe discutere di ogni parola usata.
Quando si danno delle definizioni o delle analisi che partono da nozioni già date, ciò che si fa è un’operazione che non è affatto immune da controversia ma si cerca di presentarlo come qualcosa di metafisicamente fondato o di innocuo; la scelta della definizione o dell’analisi è invece qualcosa di non innocuo perché indirizza molto l’adesione dell’uditorio perché fa si che si abbia l’impressione che si possa passare dalla definizione alla conclusione in modo immediato e diretto quando invece non è così.