Qualche considerazione sul caso “Carige”

carige
Banca Carige è uno storico istituto finanziario genovese, nato nel lontano 1483. Si tratta di una delle principali banche attive nel panorama nazionale, oltre ad essere di fatto la più rilevante banca ligure. La “Cassa di Risparmio di Genova ed Imperia”, questo il significato dell’acronimo, con le sue radici antichissime, conta oggi più di mille punti vendita in tutta Italia. Nonostante la tradizione consolidata, questa protagonista della vita finanziaria italiana è finita di recente sotto i riflettori dopo l’ispezione avviata dalla Banca d’Italia. A questo fatto, si sono intrecciate poi le vicende più recenti, che risalgono alla scorsa primavera, e che riguardano nello specifico la cessione di blocchi di quote dell’istituto a investitori selezionati e a un prezzo vantaggioso.

Per comprendere quanto sta accadendo mettendo piuttosto in crisi la Fondazione, è importante approfondire alcuni aspetti generali della vita economica. Esiste un fattore particolarmente importante all’interno dell’attività di una banca, rilevato costantemente da Bankitalia, che viene definito “Valore a rischio” o “VaR”. Questo parametro di grande importanza per gli equilibri dell’intero mercato, misura la perdita potenziale di una posizione di investimento in un dato frangente di tempo. Si tratta di una tecnica che viene utilizzata dalle banche di investimento per il calcolo del rischio di mercato connesso alle proprie operazioni.

Il motivo principale per cui Bankitalia si preoccupa di tenere sotto controllo questo indice è evitare che all’interno di una banca si assumano rischi molto alti con delle ripercussioni sul sistema finanziario; rischi che poi potrebbero ricadere anche su chi ha aperto un conto corrente bancario nell’istituto in questione.
Quello che è accaduto a Banca Carige è un periodico sforamento di questo valore, registrato all’interno dei bilanci. Il quotidiano torinese “La Stampa” ha già parlato di questo fenomeno in termini di “mina-derivati”, ovvero di una serie di contratti derivati che avrebbero assorbito liquidità causando un vero e proprio “funding gap”. In poche parole, la banca avrebbe raccolto meno di quanto le servirebbe. In relazione al costo di investimento, il “funding gap” può essere definito infatti come quella parte del costo dello stesso investimento che non può essere coperta dalle entrare nette del progetto.

Tra i principali fattori responsabili di questa situazione ci sarebbero un certo numero di contratti derivati che vengono generalmente definiti “a leva”, ovvero a debito, e con rischi di perdite che si sono rivelati per la banca superiori all’investimento. Di conseguenza, Carige ha ceduto sino a oggi circa il 10% del suo capitale sociale, attraverso la vendita di più di 238 milioni di azioni legate alla banca, a un prezzo di 0,40 euro per azione. Si è trattato di un’operazione di “accelerated bookbuilt offering”, ovvero di cessione rapida e vantaggiosa a una serie specifica di investitori come enti, banche, assicurazioni.

Del resto, è noto che i contratti derivati non possiedono un ottima reputazione a livello mondiale e sono stati spesso al centro di vari scandali finanziari, finendo per arrecare gravi perdite ai soggetti coinvolti. Infatti, alcuni economisti, come lo statunitense Warren Buffet, li hanno definiti “armi di distruzione finanziaria di massa”, sottolineando una probabile responsabilità di questi strumenti finanziari all’interno della crisi che si sta verificando negli ultimi anni in Europa.

E c’è di più. Dal 22 maggio scorso, Giovanni Berneschi, a capo dell’istituto bancario, è indagato per truffa, e per aver di fatto gestito in maniera poco chiara la vita finanziaria dell’istituto, attraverso operazioni immobiliari probabilmente poco pulite, con le quali secondo l’accusa, lo stesso Berneschi avrebbe aumentato la liquidità dei propri conti altrove. Le indagini stanno cercando di fare chiarezza anche sul ruolo di altri funzionari della Carige all’interno della vicenda, e del loro rapporto con altre società, e con imprenditori italiani.

Sarebbero collegati a questa vicenda anche altri nomi, a cui corrispondono ulteriori processi, come quello degli architetti Daniele Bianco e Gerolamo Valle. Spariti misteriosamente nel nulla, alcuni fascicoli relativi al loro processo, conterrebbero invece alcuni indizi sulle intercettazioni fra Berneschi e Menconi, il leader di Carige Vita, elementi che aiuterebbero dunque a fare luce sull’intera vicenda Carige.

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