Palazzo Te: Un perfetto connubio tra architettura e pittura

Una città che mi ha sempre incuriosita è Mantova, sul confine tra Lombardia ed Emilia Romagna, città che nel 2016 è stata definita per le sue bellezze storico, artistiche, culturali e per il suo territorio “Capitale Italiana della Cultura” e per l’occasione furono organizzati una serie di eventi.

Sono capitata ahimè di Lunedì, giorno di chiusura per i musei, ma non per “Palazzo Te”, oggi sede dei musei civici.
Si trova leggermente spostato dal centro ma facilmente raggiungibile a piedi, arrivando in macchina, come nel mio caso, si può parcheggiare nel parcheggio di Campo Canoa, collegato alla città dal ponte San Giorgio, al finale vi si trova il Castello e dai qui e possibile intraprendere il proprio percorso, passando per Palazzo Ducale, Piazza delle Erbe, piazza Leon Battista Alberti continuando così, sempre dritti, alla volta del Palazzo.

Prima di raggiungerlo è possibile scovare altri monumenti, altrettanto belli, sono tutti vicini tra loro, di certo non vi annoierete lungo questo cammino.

Immersa nel verde rappresenta il primo vero esempio di architettura civile, una villa suburbana creata per la famiglia Gonzaga, precisamente per Federico II Gonzaga, progettata e, in parte affrescata, dall’architetto e pittore Giulio Romano tra il 1524 e il 1532. Un secolo dopo gli affreschi del castello di San Giorgio realizzati dal Mantegna tra il 1464 e il 1475.

Mantova pupilla di grandi artisti, Romano e Mantegna, in particolar modo, che si prendono cura dei più importanti monumenti.
Palazzo Te è un edificio monumentale, a pianta quadrata, con un cortile anch’esso a pianta quadrata, che si conclude con un esedra, ovvero una soluzione semicircolare.
Le facciate sono tutte diverse tra loro, realizzate in parte in bugnato e in parte intonacate, anche se quella più bella probabilmente è la facciata orientale affacciata su uno specchio d’acqua, che include grandi arcate con colonne binate.

Anticamente l’area su cui sorge la villa era una zona lacustre, paludosa, che i Gonzaga decisero di far bonificare per allevarvi i cavalli, grande passione di Federico II. Dopo la morte del padre avviò i lavori di realizzazione della Villa appunto, che per lui rappresentava un luogo di riposo e di svago in cui poteva rifugiarsi per prendere parte a cerimonie festose con personaggi illustri del tempo oltre che per rifugiarsi con la sua amante.

L’amore per i cavalli si riflette in una sala detta proprio “Sala dei Cavalli”, una sala destinata al ballo, in cui è ancora possibile leggere alcuni dei nomi dati a questi cavalli, vi domina un colore giallo paglierino.

Questo è il primo ambiente che si incontra entrando nella casa di Federico II, dopo aver attraversato la loggia delle Muse che serviva come vestibolo per gli ospiti per accedere alle sale di rappresentanza.
Federico II ci teneva molto all’istruzione e alla cultura, infatti in questa stanza vengono valorizzati i più alti modelli del mondo antico attraverso la scultura e la pittura.
La volta è dedicata alle muse protettrici delle arti e della scienza.

Le salette che vi precedono non sono considerate parte della sua abitazione, ma in passato destinate all’amante, Isabella Boschetti.
Sono la “camera delle metamorfosi” ispirata alla metamorfosi di Ovidio per l’appunto, la “camera delle Imprese” raffiguranti le imprese dei Gonzaga, anche se le imprese hanno più un valore metaforico, stanno ad indicare un simbolo determinato da una figura, ovvero un copro, e da un motto ovvero l’anima, chiunque adottasse questo simbolo voleva esprimere valori, ideali, principi o eventi personali significativi.

Nella “camera di Sole e Luna”, predomina il grande affresco sul soffitto che riporta il carro del Sole e della Luna, una stanza atta ad accogliere, introdurre gli ospiti alle sale delle metamorfosi e delle imprese che erano più riservate, funge da salotto in sostanza.

Vi sono molti riferimenti al mondo classico greco e romano, si riflettono soprattutto, attraverso le immagini, descrivendo scene di Miti.
Difatti Giulio Romano, si formò a Roma presso la bottega di Raffaello, ma poco dopo la sua morte si trasferì a Mantova, dove riuscì a distaccarsi dai dettami imposti da Raffaello liberando il suo estro e la sua tecnica anche se il classicismo rappresentò pur sempre il suo punto di partenza nella progettazione della villa.

Subito dopo la sala dei cavalli, incontriamo la sala di “Amore e Psiche”, la “camera dei Venti” e la “camera delle Aquile”, la più piccola; tutte queste si trovano già all’interno dell’abitazione di Federico.

In Amore e Psiche viene raccontato un episodio tratto dalle metamorfosi di Apuleio, in cui Psiche è costretta a superare una serie di prove per convincere gli Dei del suo amore per Eros, contrastato dalla madre di lui, Venere, pur di vedere il suo amato di cui però non ne conosce le fattezze, perché i due si incontravano ogni notte, al buio, lontano da occhi indiscreti.
Le scene delle prove vengono narrate lungo tutte le pareti che convergono poi nel grande affresco del banchetto nuziale, in cui si celebra l’unione tra i due.

Questa scena riflette anche il desiderio di sensualità di Federico e la sua corte.
La camera dei Venti prende il nome dalle personificazioni dei Venti, che soffiano verso il basso della volta, questa sala è dedicata al tema dell’astrologia, all’influsso delle stelle sul destino dell’uomo.

La camera delle Aquile, come dicevo sopra, è la più piccola, ed era la stanza da letto di Federico, prende il suo nome dalle quattro grandi aquile nere disegnate ai quattro angoli delle pareti.

Continuando il percorso in villa, ad un certo punto si esce su un loggiato, la loggia di David, aperta sul cortile, che rappresenta le imprese di David che si notano sulle lunette e sulla copertura a botte.

Giulio Romano non fa una distinzione tra parete e soffitto, i suoi affreschi dominano l’intera sala e questo lo vediamo soprattutto nella sala dei Giganti, la più importante e maestosa, che si trova poco dopo la loggia di David, che funge da passaggio, attraversando prima la “camera degli stucchi” e la “camera degli Imperatori” atta ad esaltare esempi virtuosi del passato.
Qui viene ritratto un episodio narrato da Plinio, quando Cesare chiede di bruciare le lettere di Pompeo dopo la battaglia di Farsalo, che si rifiutò di leggere perché queste testimoniavano il legame tra il nemico vinto Pompeo e i notabili di Roma oppure l’episodio di Alessandro Magno che ripone l’Iliade in uno scrigno d’oro, sottratto al nemico vinto Dario, Re di Persia.

Ma finalmente, giungiamo all’ambiente fatidico, quello più maestoso, impossibile non notarlo, “la camera dei Giganti” un gigantesco affresco, che stupisce, attornia, avvolge lo spettatore, mi sentivo così piccola e quasi parte di quella stessa scena come se la stessi vivendo anch’io, in quello stesso momento.

Inoltre fissando per più tempo il soffitto è come se iniziassi a vedere oltre, oltre quel cielo, verso l’infinito. È la stessa illusione ottica paragonabile all’oculo della camera degli sposi in Castello San Giorgio.
Qui viene raccontato l’episodio della Caduta dei Giganti tratto da Ovidio, che racconta il tentativo da parte dei giganti di assaltare l’Olimpo, ma questi verranno bloccati dagli Dei raffigurati nell’atto di squarciare le nuvole in cielo, in questo vortice di personaggi spicca anche Giove intento a scagliare fulmini mentre muri e colonne di pietra franano trascinandosi con se il resto dei giganti.

Con questo affresco Giulio voleva esaltare la vittoria dell’intelligenza sulla brutalità, della luce sulle tenebre. Si trova nella parte di appartamento dedicato alla rappresentanza, e non privato, nell’ala Orientale.

La visita non termina qui, vi sono ancora sale, meno adornate rispetto a quelle viste prima, però di ugual importanza, il “camerino a Crociera, delle Grottesche e di Venere” per seguire la “camera dei Candelabri” che prende il nome dal fregio scandito da candelabri in stucco, la “camera delle Cariatidi”, la “loggia meridionale” che inizialmente doveva assomigliare a quella delle muse terminando poi con la “camera delle Vittorie” che prende il nome dalle due Vittorie alate che si trovano agli angoli.

E’ molto bello anche il giardino, camminandoci si raggiunge l’esedra, molto suggestiva, e soprattutto ripresa in tante foto ricordo.
Il Palazzo Te merita di essere visitato, inoltre al suo interno vi sono altre sale, perché sede dei musei civici e del Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te, quindi con un singolo biglietto di ingresso del costo di 12 euro è possibile visitare tutto questo oltre ad una sezione donata da Arnoldo Mondadori, la raccolta egizia di Giuseppe Acerbi e la collezione mesopotamica di Ugo Sissa.

Un perfetto esempio di unione tra antico e contemporaneo che si fondano in modo armonico.
Il palazzo a mio parere è ben segnalato all’interno, in ogni stanza è presente un pannello illustrativo contenente la descrizione della sala con i relativi miti, ove presenti, all’ingresso la biografia di Giulio Romano e la storia della Villa sono tradotti anche in lingua inglese per il pubblico straniero.

Consiglio vivamente di visitarlo, chiunque apprezzerebbe la magnificenza e la bellezza di questi affreschi, io stessa vi ho portato i miei genitori che, se hanno apprezzato loro, credo proprio che anche voi possiate apprezzarli.
Un’ottima idea per trascorrere una domenica pomeriggio, diversa, magari di sole, immersi nel verde e osservando bellezze uniche.

Giada Lasco

 

Caduta dei Giganti
Scena del Banchetto Nuziale (Amore e Psiche)
Esedra

 

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