La vita di Antonio Ligabue, pittore ribelle

L’associazione che viene più spontanea pensando all’artista Antonio Ligabue è quella che traspare dalle sue opere che esprimono forti emozioni: una persona tormentata, ribelle, fragile sia dal punto di vista fisico sia psichico, dalla vita difficile e sofferta. Un artista che ha ispirato nel tempo moltissime opere cinematografiche e per la televisione, libri, canzoni, la cui figura è stata egregiamente raccontata anche in tempi recenti da Giorgio Diritti nel suo film Volevo nascondermi, che ha visto Elio Germano – insignito quest’anno al festival di Berlino con l’Orso d’argento come miglior attore – nei panni di quello che è stato uno dei maggiori esponenti del naif del XX secolo. Una vita, come detto, tormentata, messa a dura prova sin dalla nascita.

Antonio Ligabue nasce il 18 dicembre del 1899 in Svizzera, a Zurigo, da madre originaria della provincia di Belluno. Se inizialmente prende il cognome materno – Costa – in seguito gli viene cambiato in Leccabue, dal cognome dell’uomo, anch’esso italiano, che sua madre sposerà, forse suo padre naturale. Sarà poi Antonio stesso a cambiarsi di nuovo cognome in Ligabue, visto l’odio che egli nutriva per il genitore, da lui accusato di aver ucciso sua madre e tre dei suoi fratelli, deceduti a causa di una intossicazione alimentare. Un’infanzia che lo vede fin da piccolissimo allontanato dalla famiglia di origine, affidato a una coppia di svizzeri tedeschi, che lui per tutta la vita considerò i suoi veri genitori e con i quali si legò (soprattutto con la madre adottiva) in uno stretto rapporto di amore e odio.
Una situazione economica difficile, molti trasferimenti da una città a un’altra, una crescita segnata da uno sviluppo fisico bloccato da carenze vitaminiche, dal rachitismo, dal gozzo, quindi l’inserimento in classi scolastiche differenziali a causa delle sue continue crisi nervose.

Tutto ciò incide profondamente sul suo carattere, sul suo sviluppo psichico, emotivo, intellettuale, rendendolo sempre più distaccato dai suoi coetanei e ad avere una condotta scolastica considerata “immorale” e ben scarsi risultati. Ha infatti difficoltà in tutte le materie, eccetto che nel disegno, tanto da essere infine espulso dall’istituto per ragazzi handicappati in cui era stato indirizzato, riuscendo a completare soltanto la quarta elementare. Una gioventù errabonda, quasi selvaggia, fatta di lavori occasionali e mal pagati nei campi e nelle fattorie, costellata di episodi di ricovero in ospedale psichiatrico, con la sola certezza della sua passione per la pittura. Espulso dalla Svizzera all’età di vent’anni per aver aggredito la sua madre adottiva e da questa denunciato, Ligabue viene condotto in Italia e qui continua un’esistenza fatta di vagabondaggi per le campagne lungo le rive del Po, fughe per cercare di tornare in Svizzera, lavori saltuari, difficoltà causate dalla mancanza di conoscenza della lingua italiana e di saper comunicare. È con l’aiuto del Comune e dell’ospizio di mendicità di Gualtieri, il paese di origine di suo padre, che riesce a sopravvivere, supportato soltanto dalla sua voglia di dipingere.

È nel 1928 che la sua passione per la pittura verrà rinforzata dall’incontro con l’artista Renato Marino Mazzacurati, uno dei fondatori della Scuola Romana, dal quale Ligabue imparerà l’uso dei colori a olio e che, compreso il suo talento, farà di tutto perché questo venga riconosciuto e apprezzato a livello nazionale.
Da questo momento Ligabue si dedica completamente alla pittura e in seguito anche alla scultura con la terracotta. Viene ospitato da amici quali il flautista Licino Ferretti o soggiorna presso il ricovero di mendicità di Gualtieri. Un periodo segnato anche da diversi ricoveri in ospedale psichiatrico per atti di autolesionismo e di aggressione che sottolineano il suo carattere irascibile e violento.

Durante la Seconda guerra mondiale trova impiego come interprete per le truppe tedesche, incarico che però perde a seguito di una sua aggressione a un militare tedesco, che gli vale ben tre anni di ospedale psichiatrico.
È dagli anni Cinquanta che le sue opere cominciano davvero a essere apprezzate. Vince premi, inizia a vendere i suoi quadri e nel 1955 realizza una sua prima mostra personale a Gonzaga. Nel 1961 giunge alla consacrazione nazionale con un’esposizione a La Barcaccia di Roma, che gli consente infine di uscire dalla sua disperata situazione economica.
Un incidente in motocicletta (moto e auto erano sempre state una sua passione) e un’emiparesi nel 1956 che lo colpisce anche a livello cerebrale, bloccano la sua attività artistica.

Ospite del ricovero di Gualtieri, chiede di essere battezzato e cresimato, e lì morirà il 27 maggio del 1965, quando la sua arte ha ormai acquisito fama nazionale. È nello stesso cimitero del paese che aveva dato i natali a suo padre che “al tedesch” o “al matt”, così come veniva chiamato, è stato sepolto. Sulla sua lapide, una maschera funebre di bronzo dello scultore Andrea Mozzali.
Un uomo che non sapeva esprimere con le parole, ma capace di riprodurre in modo perfetto ciò che sentiva, vedeva, elaborava, e le cui opere, di grande espressività e semplicità, evocano talvolta tensione, talvolta serenità, spesso riportando scene di vita quotidiana, paesaggi, animali.
Da non dimenticare le molte tele (non datate, come tutte le sue opere del resto) in cui Antonio Ligabue si è ritratto, nelle quali è soprattutto lo sguardo e l’espressività degli occhi a focalizzare l’attenzione di chi le osserva.

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