Nella condensazione il colore cerca una strada e una distinzione.
Con queste parole desidero sintetizzare i contenuti racchiusi nella mostra romana dedicata a Piero Raspi e intitolata Dalla luce al colore, inaugurata il 29 ottobre 2021 e visitabile sino al 9 gennaio 2022. Il percorso espositivo si invera negli spazi dei Musei di Villa Torlonia – Casino dei Principi, distribuendo nelle sale predisposte alcuni dei principali dipinti collocabili tra il 1955 e il 2005. Il tutto a cura di Marco Tonelli.
Nella plateale e affascinante misconoscenza della forma si sviluppa dunque un itinerario che privilegia strati e sostrati di materia pittorica fatti oggetto di accentuazione e di sapiente manipolazione interna. E così il colore, nella sua pregnanza, punta ad essere sostanzioso e più che altro “territoriale”. Caldamente divorante, non soltanto attrattivo. Un colore da vedersi come fonte di agevolazione per un’esperienza e presenza nel tempo. Inglobante e calibrato nel suo porsi come elemento risolutamente primario.
Alcuni dei titoli che ritroviamo nella sala d’ingresso sono: Paesaggio verde (1955), Inverno 2 (1956), Rami secchi (1958), Con-citazione (1959), Rappreso (1959), Smaglio (1960), vere e proprie investigazioni in cui la materia prima viene data per sé stessa. Tratteggi scabri uniti a un’interessante capacità di distribuzione sulla tela risultano essere conduttori di un’allure in parte segreta. Ogni squama, ogni amalgama pastoso punta a conferire un potenziamento all’impianto costruttivo, generando purtuttavia una deviazione da una tracciabilità facilmente inseguibile.
Una volta attraversato il primo compartimento essenzialmente pittorico, si profila per il visitatore una zona di transizione, caratterizzata dalla possibilità di avvicinamento a documenti e carteggi, arricchiti da un delicato filmato conoscitivo con regia di Luisa Galdo. Ma l’uso irrimediabile della pittura immediatamente torna ad essere predominante nella sala successiva, che fa guadagnare nuovamente magnificenza allo spessore materico, sempre più graduato e internamente differenziato o in parte disatteso, con modalità di taglio oppositivo, sorprendentemente contrastante. Ritroviamo tra i dipinti di tale natura: Frontale (1960) Bianco sorpreso distratto (1961), Saturnale (1961), Traccia e Bianco (1960).
Una volta raggiunto il piano superiore si potrà cogliere, nelle opere esposte, la comparsa di frammenti di stoffa e spezzoni di legno su tela, su cui transita una vena ironica per lo più inusitata. Certamente è nei Monocromi che trova un definitivo assestamento la resistenza e la caparbietà di gestione del colore stesso, sicché lo sguardo a fatica potrà esimersi dal predisporre un attraversamento compatto e condensato tra i meandri dei dipinti presenti. L’evidente senso di esternazione non priva tuttavia queste opere di un buon livello di latenza incipiente, in termini di energie e significazioni. E probabilmente proprio sui concetti di latenza e persistenza si muove il gioco pittorico.
Sul finire del percorso vengono messi in evidenza alcuni stati di fratellanza e filiazione rispetto a risultati pittorici coevi e più o meno affini, per capacità di ricerca e portato estetico. Pertanto, accanto a Lacrime Ombre (1961) dello stesso Raspi ritroviamo opere di Marignoli, Bendini, Hoehme, Canogar, Bogart, Leoncillo. Ad arricchire l’insieme alcuni bozzetti e materiali preparatori per un Omaggio a Burri. Vale la pena tornare a soffermarsi sul senso di avanzamento speranzoso messo in campo nel momento fertile di sviluppo e germinazione dell’informale, per lasciarsi avvincere dall’eterogeneità dei dettati scaturiti, provando a immettersi nei dipinti come in vicende pulsanti di coinvolgimento.
Anna Laura Longo