I cardini della cultura hippy

Gli anni Sessanta del secolo scorso sono stati un momento davvero cruciale per la nostra società occidentale, e sotto molti punti di vista. È in questo periodo, infatti, che nascono movimenti e si rafforzano ideologie che hanno aperto a nuove visioni della società e della politica, di cui ancora oggi viviamo l’eredità. Il movimento hippy ha fatto di certo la sua parte per definire temi quali la nonviolenza e la difesa dei diritti delle minoranze etniche, usando mezzi controculturali nuovi per quei tempi, quali la musica rock, l’uso di droghe e l’amore libero.

Come spesso capita a movimenti del genere, è dai giovani che parte tutto, sulle prime con una produzione “sotterranea” di materiali che dalle grandi città americane iniziarono a diffondersi anche nei centri più piccoli, per poi diventare un vero e proprio fenomeno che ha interessato anche l’Europa e molte altre parti del mondo.
Di certo un movimento erede della beat generation degli anni Cinquanta, da cui gli hippy ripresero molti elementi, quali la ribellione ai dettati borghesi, al consumismo e alla cultura di massa, rifacendosi a quell’“allargamento dell’area di coscienza” proposto dal poeta statunitense Allen Ginsberg, uno dei padri, appunto, della beat generation.

Donna con segno della pace

A sottolineare l’ideologia hippy, di certo l’avversità per tutto ciò che rappresenta un potere costituito, a cui si contrappone uno stile di vita alternativo, lontano dagli schemi dominanti, con scelte di vita comunitaria che sostenevano l’amore universale e il pacifismo. Ai tempi, i “figli dei fiori” hanno avuto un ruolo importante nelle espressioni di protesta contro la guerra del Vietnam (il mitico film musicale “Hair” di Milos Forman ne è un’ottima testimonianza, di indubbio valore anche artistico), ma anche nei confronti di minoranze discriminate, quali gli afroamericani e i pellerossa.

È il “flower power” lo slogan della contestazione hippy, che simboleggia il rifiuto delle istituzioni, del consumismo, della cultura di massa, degli schemi dettati dalla società dominante, e che oggi si associa all’uso di droghe (leggere, ma anche quelle psichedeliche), a un abbigliamento anticonvenzionale (jeans prima di tutto, e poi le caratteristiche camicie e gonne a fiori), ai “capelli lunghi” e le barbe incolte (i nostri “capelloni”), ai mega raduni musicali, di cui certo l’apice è stato il grandioso festival di Woodstoock, che si tenne nel 1969 e al quale parteciparono almeno cinquecentomila tra ragazze e ragazzi.

arte hippy

Al di là dei simboli e delle etichette, una vera e propria cultura, che ha avviato molti movimenti successivi (primo fra tutti il movimento di protesta giovanile del Sessantotto, compresa la cosiddetta “rivoluzione sessuale” che ha modificato molti degli schemi di comportamento della nostra società), inglobando anche un certo avvicinamento alle culture orientali e alla ricerca individuale, nonché un ritorno a principi legati alla natura e al rispetto per l’ambiente, compreso l’uso di cibi alternativi e pratiche salutistiche appunto naturali, aprendo poi le porte a quello che è diventato il movimento ambientalista.

Se è vero che spesso agli hippy è stato attribuito più che altro uno stile “leggero”, di fuga dalla realtà, una mera moda basata su elementi estetici, non ci sembra che il loro impatto sulla società sia da considerare di poco conto. I loro valori sono invece stati di notevole influenza su letteratura, musica, arte, cinema, televisione (e, se proprio vogliamo dirlo, anche la loro moda, rivisitata ciclicamente dai più grandi stilisti) fino a giungere a noi, e di certo la nostra società, così come è oggi, deve molto al loro stravagante e “scanzonato” passaggio nella storia, soprattutto per quanto riguarda principi di tolleranza, di accettazione del “diverso” e di sé.
C’è da chiedersi, piuttosto, se c’è qualcosa di cui ci stiamo dimenticando.

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