La forza della verità è basata sulla capacità di riconoscere il vero (logos). Una persona deve essere capace di dimostrare una cosa, ma anche l’uditore deve saper riconoscere il vero e discernerlo dal falso. Aristotele afferma che l’uomo in generale dovrebbe essere capace di fare questa cosa. Il mirare a ciò che riteniamo vero appartiene alla stessa disposizione per cui accettiamo la verità; tuttavia il mirare alla verità è cosa diversa dalla capacità di discernere il vero dal falso. Il retore deve persuadere e dunque deve partire da ciò che l’uditorio accetta come vero → ragionamenti dialettici. Si accetta infatti qualcosa qualora la si ritenga vera, a prescindere dalla verità o meno della cosa in sé.
La forza della verità però spesso non basta; ci sono dei contesti in cui una persona che sa non può dare delle lunghe dimostrazioni, oppure è l’uditorio a non voler accettare ciò che la persona dice. Si deve spesso far leva sulle nozioni comuni, su ciò che l’uditorio e l’oratore danno per scontato ed è generalmente accettato.
Aristotele attribuisce allo studio di ciò che è persuasivo un ruolo diverso in ambiti diversi; in ambiti di maggior certezza non è necessaria la forza persuasiva; l’opposto invece in ambiti di minor certezza. Inoltre, quanto più è minore la certezza, tanto maggiore sarà il ruolo attribuito al carattere dell’oratore; dunque Aristotele considera il logos primario in materie scientifiche come la matematica, mentre attribuisce maggior valore al pathos e all’ethos in altri ambiti di minor certezza.
Perelman suggerisce una dicotomia:
– nell’ambito della verità, vale la logica (deduttiva o induttiva);
– nell’ambito dei valori, vale la retorica.
Egli afferma infatti che la scelta dei valori ultimi non è del tutto al di fuori della razionalità. L’errore comune secondo Perelman negli anni ’50 era che si consideravano i valori da un punto di vista troppo austero, troppo logico-razionale. Come già detto, non esiste alcuna logica specifica dei giudizi di valore, tuttavia sui giudizi di valore aveva più volte parlato la retorica antica (non quella classica); tutto si basa sull’adesione di colo alla cui approvazione le tesi vengono sottoposte. L’ambito retorico che Perelman ha in mente è proprio il discorso epidittico, basato sull’ethos, sul carattere dell’oratore; infatti il suo ruolo è quello di rendere più intensa l’adesione a determinati valori; non si può comprendere la sua importanza se gli si attribuisce come scopo solo la gloria dell’oratore. Non si deve confondere la conseguenza del discorso epidittico col suo scopo ultimo. In ogni caso per Perelman tutta la filosofia pratica appartiene al genere epidittico, poiché questa si occupa tutta della sfera dei valori mentre quello si occupa di farne prevalere alcuni su altri.
Se la retorica aveva questo ruolo così importante nel permettere un’argomentazione intorno ai valori, come mai poi si è ridotta soltanto ad uno studio sui modi per abbellire un discorso? Come si spiega la decadenza della retorica? Perelman ritiene che l’importanza della retorica si riconosce solo finché si tiene separato l’ambito del ragionamento persuasivo da quello della dimostrazione logico-formale; infatti i ragionamenti dialettici partono da ciò che è accettato (o generalmente accettato) con lo scopo di far ammettere altre tesi che sono o possono essere controverse. I ragionamenti analitici concernono la verità, quelli dialettici l’opinione; mentre Perelman afferma questa cosa, Aristotele non nega la verità ai ragionamenti dialettici, non sempre almeno.
La svolta che porta alla decadenza della retorica si ha con Pietro Ramo (1515 – 1572), logico e grammatico ed aspro critico di Aristotele, il quale ha rimosso la distinzione fra ragionamenti analitici e ragionamenti dialettici; egli ha infatti ridotto la retorica alla sola elocutio, riorganizzando le arti del trivio (grammatica, dialettica, retorica). Pietro Ramo trasferisce gli argomenti persuasivi della retorica nella capacità logica della dialettica, lasciando dunque alla prima solo una funzione “ornamentale”, utile all’eloquenza del discorso dell’oratore; secondo lui, infatti, la Logica o Dialettica è l’unica dottrina utile alla conoscenza. La retorica perde dunque inventio e dispositivo, vale a dire la capacità di trovare e disporre gli argomenti persuasivi e mantiene solo l’elocutio, lo studio delle forme del linguaggio. Sarà poi un suo amico, Omer Talon, nel 1572 a pubblicare la prima retorica sistematicamente limitata allo studio delle figure (retoriche). Egli sostiene che la logica formale moderna sia stata per lungo tempo identifica con i ragionamenti analitici di Aristotele, trascurando completamente quelli dialettici.
Secondo Perelman, la logica formale moderna (XX secolo) ha commesso un errore simmetrico a quello di Ramo, perché ci sono dei ragionamenti validi che tuttavia non possono essere studiati dalla semplice logica formale; infatti in questi casi non si effettua una dimostrazione, bensì si svolge un’argomentazione. Perelman dunque propone una svolta, una nuova retorica o teoria dell’argo-mentazione, che miri all’accettazione od al rifiuto di argomenti in discussione; è una teoria dell’argomento persuasivo per un uditorio qualsiasi. Unisce dunque la dialettica e la retorica aristotelica in una nuova disciplina.