Recensione di arancia meccanica. Qual è il significato del grande classico di Kubrick?

Il film Arancia Meccanica viene girato dal celebre regista Stanley Kubrick ed esce nelle sale nel 1971. E’ tratto dal romanzo omonimo scritto da Anthony Burgess anche se nella versione cinematografica si differenzia per alcuni particolari.

All’epoca, quando viene presentato nella sale cinematografiche, la reazione del pubblico e della stampa è piuttosto scioccata dalle esplicite immagini di violenza che vengono rappresentate.
Altri si accorgono sin da subito dell’importanza del film. Il critico d’arte Achille Bonito Oliva, ad esempio, riconosce al regista la capacità di “profetizzare la pericolosità di una violenza estetizzante”.

Il titolo del film, ripreso dall’omonimo libro, racchiude in sé due significati che sembrano opposti nella loro stessa essenza: l’arancia, un frutto prodotto dalla natura, più l’aggettivo “meccanica”, qualcosa che deriva dalla tecnica e che si discosta dal processo naturale.
Arancia meccanica quindi già ci suggerisce che il senso profondo del film abbia qualcosa di paradossale.

E’ importante analizzare la trama dell’opera per comprendere le rilevanti questioni filosofiche su cui essa si sofferma: il libero arbitrio, la responsabilità morale, la violenza, la pena, la religione e il rapporto dell’uomo con la società più in generale.

Quindi attenzione, se ancora non avete visto il film, i prossimi paragrafi sono ad alto rischio spoiler!

arancia meccanica - alex

La trama di Arancia Meccanica

La vicenda si svolge in un futuro non ben definito a Londra. Alex, il protagonista, è un ragazzo figlio di operai che insieme ad un gruppo di amici (i drughi) passa il suo tempo aggirandosi per la città e commettendo una serie di crimini di varia entità, dal furto allo stupro fino ad arrivare all’omicidio. In particolare le sue prede sono personaggi della ricca borghesia, sulla quale i giovani infondono violenze senza motivo apparente ma spinti da una volontà cieca che mette sullo stesso piano qualsiasi azione che compiono: rubare, violentare, fare sesso, svagarsi, marinare la scuola.

Nel libro l’età dei ragazzi è l’adolescenza, il momento della vita in cui, abbandonata la fanciullezza, i giovani entrano a contatto con i propri pari e più in generale con la società. Nel film non è invece così chiara l’età dei ragazzi, Alex appare un giovane uomo che deliberatamente sceglie ogni volta di attuare una serie di violenze a danno degli altri, per un “impulso” interno che non gli permette di fare altrimenti. L’unica sensibilità che pare rimanergli è quella relativa alla musica classica di cui è un vero estimatore.

Dopo l’ennesimo crimine che sfocia in un omicidio, i suoi compagni lo incastrano e Alex viene preso dalla polizia. Per evitare il carcere a vita il ragazzo decide di sottoporsi ad un programma di riabilitazione sperimentale chiamato Cura Ludovico. Questa cura scientifica lo costringe, ogni volta che sente l’impulso violento, a fermarsi a causa di una reazione di rifiuto fisica che gli provoca talmente tanta nausea da non poter proseguire con la sua intenzionalità criminale.

Prima che Alex si sottoponga alla cura, una celebre scena racconta dell’intervento di un sacerdote cattolico che lo segue durante il percorso in carcere. Nel dialogo il sacerdote pone il problema sulla vera libertà di scelta di Alex; le scelte di Alex dopo la cura risulteranno infatti del tutto “meccaniche”, non dettate dalla vera coscienza interiore di voler fare del bene.

Dopo la cura Alex è reintrodotto nella società ma appare come un soldatino che non esercita più il libero arbitrio, è incasellato all’interno di un sistema regolato da norme sociali imposte, una “prigione nella prigione”. La società in cui ritorna non appare affatto benevola nei confronti del ragazzo nonostante egli ora sia di fatto completamente innocuo. I personaggi che via via incontra e ai quali lui ha provocato dolore, si accaniscono contro di lui: “occhio per occhio, dente per dente”.

Le principali tematiche filosofiche di Arancia Meccanica

In questo film la figura di Alex rappresenta una precisa idea sulla essenza dell’essere umano, ovvero che nell’uomo siano connaturati sia il bene che il male, perché senza il male non esisterebbe il bene e viceversa. Se manca l’uno si elimina anche il suo opposto.

Il libero arbitrio si esercita nella misura in cui ci sono più scelte da prendere con la consapevolezza propria dell’uomo razionale che le compie.

Il problema che pone quindi il sacerdote è quello della libertà che l’essere umano ha (libertà che Dio gli da, dotandolo di ragione) e con la quale determina il suo destino.

Dopo la Cura Ludovico il ragazzo non ha più la facoltà di scegliere in quanto è costretto dai dolori fisici a fermarsi. In un passo del film lo stesso sacerdote evidenzia come Alex in realtà dentro di sé abbia altre intenzionalità che non può liberamente attuare. La Cura Ludovico effettivamente è efficiente sul piano dei risultati, ma disumanizza l’altro.

Quello che sente Alex, la grande nausea, è qualcosa che gli è stato “imposto” dall’esterno, dalla scienza meccanica, non gli viene naturalmente da dentro. Dal punto di vista religioso invece il ragazzo dovrebbe essere realmente pentito per i suoi errori. Questo lo porterebbe non solo nella vita terrena a essere un buon cristiano, ma sopratutto dopo la morte a non finire all’inferno, un luogo – sempre in ottica religiosa – realmente esistente, come afferma durante la messa nel carcere lo stesso sacerdote.

A quel punto interverrebbe il giudizio divino per la condotta di Alex sulla terra e valuterebbe se il ragazzo si è davvero pentito per il male che ha causato, dato che Dio vede tutto e vede dentro l’uomo. La religione non rappresenta però una risposta positiva ai dilemmi morali sollevati dal film. La figura del prete è infatti presentata negativamente in varie scene, specie in un noto monologo:

Con questo film Kubrick sembra quindi delineare un’idea di essere umano alquanto negativa. Le categorie di bene e male che qui vengono proposte sembrano essere sempre associate di fatto comunque alla religione: il male è dentro l’uomo fin dalla sua stessa esistenza. Il peccato originale non lascia scampo.

Quando invece interviene la scienza il paradigma sembra ribaltarsi e arriva quindi l’intervento medico scientifico: il ragazzo non va punito ma curato in quanto è malato.

In effetti se si considera la vita di Alex prima della sua carcerazione è difficile affermare che Alex sia un ragazzo veramente libero. È davvero libertà essere violenti e vivere in questo modo la propria giovinezza? Lo stesso impulso distruttivo, se è davvero così forte, lascia libertà di scelta?

Certo è vero che Alex sembrerebbe lucido nell’attuare una serie di violenze e che in termini astratti egli potrebbe scegliere semplicemente di non compierle. Ma questo dipende da che idea abbiamo dell’essenza dell’essere umano fin dal principio.
Se noi consideriamo il comportamento di Alex del tutto irrazionale, esaltato dalle droghe che abitualmente consuma con i suoi compagni, vediamo un ragazzo del tutto in balia di un senso di onnipotenza che gli ha fatto perdere completamente il rapporto con la realtà.

L’intervento della scienza avrebbe allora senso. Se non fosse però che la scienza, alleata con lo Stato, propone come cura un intervento ancora più violento che non indaga i reali motivi del perché il ragazzo è alterato ma lo obbliga ad assistere ad una serie di immagini violente con una finalità che appare esclusivamente educativa.

Durante il trattamento il ragazzo è costretto con gli occhi spalancati a vedere una serie di immagini che ripercorrono le sue azioni. La logica è quella del contrappasso. Per analogia Alex subisce la stessa pena che infliggeva.
La cura qui proposta sgrava il ragazzo dalla responsabilità delle proprie azioni violente.

Alla fine la cura risulta inefficace nella sostanza in quanto poi vediamo il protagonista rifiutare perfino la musica che tanto amava fino a portarlo a tentare il suicidio per non sopportare più un micidiale dolore fisico (non psichico).

È interessante notare che il nome della cura, Ludovico, è lo stesso nome del grande Ludovico Beethoven che Alex ammira enormemente. Anche qui la legge del contrappasso si esplica al contrario: alla fine la tanto amata musica diviene essa stessa motivo di malessere. Il risultato è non riuscire più a determinare la differenza tra ciò che fa stare male e ciò che fa stare bene.

Quando il ragazzo viene ricoverato dopo il tentato suicidio la psichiatra gli fa una serie di test in cui appare evidente lo stato alterato del suo pensiero.
Le associazioni che propone sono del tutto incongrue e nel volto del ragazzo si evidenzia la totale pazzia.

Il ministro cerca di recuperare al fallimento della cura proponendo un accordo con il ragazzo: gli promette un buon lavoro per reinserirlo nella società a patto che lui non si comporti più male.
Il film si conclude con il primo piano del volto di Alex mentre fantastica una scena e dice “ero guarito, eccome!”. Ovviamente non è così.

Il fallimento dello Stato, della scienza e della società civile

Il fallimento della società, dello Stato e della scienza appare in questo film più forte del fallimento della vita di Alex. L’unico che propone una responsabilità morale e quindi il libero arbitrio è in effetti il prete. Né lo Stato né Alex, né i medici e tanto meno i genitori, spendono parole in questo senso.

I genitori del ragazzo non prendono posizione sui suoi comportamenti né prima né dopo i tragici eventi. Durante la sua assenza Alex viene addirittura sostituito con un altro ragazzo che occupa la sua stanza e, di fronte alle rimostranze del ragazzo che si ritrova senza casa, il problema viene scaricato sul piano materiale: non c’è più posto in casa per Alex. Il nuovo inquilino lo fa, per di più, sentire in colpa per essere un cattivo figlio che fa soffrire i buoni genitori.

Il regista sembra mettere il pubblico di fronte a una domanda: è meglio l’Alex violento o l’Alex innocuo ma non più se stesso? Dietro a questa rappresentazione emerge chiaramente una forte denuncia dello Stato da parte del regista.

Ma c’è anche un’idea profondamente negativa dell’essere umano che a più riprese emerge anche in altri film, come ad esempio nella scena iniziale di 2001 Odissea nello spazio, ovvero l’idea che nell’uomo ci sia qualcosa di molto profondo che non funziona per sua stessa natura e non c’è organizzazione statale e normativa che possa aiutarlo. In questo senso il film sembra confermare il concetto di Hobbes, “Homo homini lupus”.

Ma il fatto che Kubrick sia uno straordinario regista non deve necessariamente portarci ad accettare la sua idea di essere umano. Forse si potrebbe affermare che la libertà si può esprimere quando c’è una vera sanità della mente e la sanità della mente significa non essere distruttivi né per se stessi né per gli altri. La responsabilità verso se stessi viene di conseguenza.

Prima di allora la responsabilità invece è della famiglia. Nel film non si indaga la precedente vita di Alex, la sua infanzia. Ma a ben vedere l’ambiente famigliare pare assolutamente freddo nei riguardi del ragazzo. Egli viene chiamato non col nome ma “figlio”. Come a voler indicare che il ruolo conti più della persona.

In realtà, restando al racconto del film, si può immaginare che proprio questa piattezza dei rapporti abbia svuotato il senso dell’essere al mondo del ragazzo e che questo svuotamento di senso abbia causato la perdita totale di umanità di Alex.

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