“Estetica analitica” è una locuzione entrata nel gergo filosofico degli ultimi anni. Come tutte le etichette ha il vantaggio di essere concisa, chiara e molto utile per riferirsi in sintesi ad una specifica corrente filosofica. Tuttavia, precisare con esattezza cosa si nasconda sotto questa etichetta non è semplicissimo.
Essa poggia sulla nota distinzione tra filosofia analitica e continentale, anch’essa molto generica e a volte fuorviante, e tuttavia ancora oggi molto utilizzata, anche in ambito accademico, per dar conto di due diversi modi di fare filosofia. Per filosofia continentale si intende il ‘tipo’ di filosofia a cui il lettore italiano è probabilmente più abituato. La filosofia dei “grandi filosofi” del Novecento, Kant, Hegel, Heidegger, Nietzsche ma anche Croce, Gentile, Derrida, Marx e così via…filosofi nati per l’appunto nel continente europeo.
Filosofia analitica è invece il modo di fare filosofia che si è sviluppato in gran parte in Inghilterra e poi negli Stati Uniti a partire da inizio XX secolo. La distinzione tuttavia non è geografica, o quantomeno, non solo geografica.
I filosofi continentali sono oratori affascinanti, solitamente corpulenti e vestiti con decoro morigerato. Sembrano sempre saggi, anche quando non lo sono. Parlano mescolando termini difficili con naturalezza, come se tutti capissero cosa dicono, senza timore di avventurarsi per le praterie dell’Essere e della metafisica; non di rado hanno la barba o i capelli arruffati.
I filosofi analitici tendono a porre problemi filosofici definiti e a procedere nella loro chiarificazione in modo logico e stringente, talvolta in aperta contrapposizione ai continentali. Sono mediamente snelli, ben vestiti anche se non eleganti, indossano occhiali fini. Parlano con una chiarezza esasperante e rigida, tendono ad annoiare l’uditorio con continue definizioni dei termini che utilizzano. Ci tengono molto ad ottenere risultati filosofici, qualunque cosa ciò significhi.
A inizio Anni duemila, quando l’ho frequentata io, la facoltà di filosofia a La Sapienza di Roma era sostanzialmente continentale, ma non completamente. L’atteggiamento di opposizione tra chi apparteneva ad una tradizione filosofica e chi all’altra era veramente malcelato.
Ovviamente, non tutti i filosofi possono essere racchiusi in una di queste due correnti. Molti, anzi, hanno assunto posizioni molto ‘laiche’ studiando filosofi di ogni orientamento e costruendo ponti tra le due tradizioni.
Resta il fatto che fino a pochi anni fa sentir parlare di estetica analitica in Italia fosse qualcosa di praticamente impossibile:
Di una sola tendenza, di un solo filone dell’estetica nessuno ha voluto sapere nulla, e sono mancati non solo gli adepti, ma addirittura una minima conoscenza. L’estetica analitica, come si è coltivata nei paesi anglofoni a partire dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, è rimasta per il dibattito italiano lettera morta.
[D’Angelo, Paolo, a cura di, Introduzione all’estetica analitica, Editori Laterza, Roma-Bari 2008, p. V.]
Oggi la situazione è cambiata grazie al contributo costante di alcuni studiosi italiani. Uno degli argomenti su cui tali studi si sono concentrati è proprio la nozione di “estetica analitica”.
Definire l’estetica analitica
Con questa “etichetta” generalmente ci si riferisce ad una “corrente” di studiosi di estetica che hanno lavorato e pubblicato le loro teorie in territorio anglo-americano all’incirca negli ultimi sessant’anni; i loro contributi sono stati spesse volte ospitati da due riviste specializzate: il “Journal of Aesthetics and Art Criticism” (1942), e il “British Journal of Aesthetics” (1960), quasi due organi ufficiali.
Se da una parte l’utilizzo di tale etichetta è d’uso corrente in quanto molto utile a segnare una distanza che realmente sembra esserci con l’estetica continentale, d’altra parte tale espressione può dar luogo a fraintendimenti ed è, forse, ingenerosa nei confronti degli esponenti di questa “corrente” filosofica.
Questa locuzione, infatti, tende a nascondere le grandissime differenze tra le prospettive teoriche che sono emerse in questi anni, dando l’idea di un movimento omogeneo, cosa vera solo in parte. Inoltre, non va trascurato il fatto che molti di questi filosofi non pensino la propria filosofia come una “estetica”, ma come una “filosofia dell’arte” (Arthur Danto, ad esempio).
Alla luce delle molte differenze filosofiche, dare una definizione soddisfacente di “estetica analitica” che mantenga l’utilità di tale espressione, senza essere però né scorretta da un punto di vista teorico, né eccessivamente omologante, appare compito non semplice.
Le quattro possibili definizioni che verranno menzionate (storica, filosofica, metateorica e stilistica) sono prese in considerazione sia da Paolo D’Angelo nella premessa a Introduzione all’estetica analitica [cit.], che da Stefano Velotti [in Velotti, Stefano, Estetica analitica, un breviario critico, Aestethica Preprint, Palermo 2008]. Entrambi gli autori ricavano queste quattro opzioni dalle considerazioni di Franca D’Agostini a proposito della filosofia analitica in generale [in F. D’Agostini e N. Vassallo, a cura di, Storia della filosofia analitica, Einaudi, Torino 2002].
Una definizione storica, seppur agevolata dal ristretto lasso temporale entro il quale ha senso parlare di un’estetica analitica (sessanta, settant’anni), richiederebbe comunque di sapere cosa si sta definendo storicamente. Inoltre,
rispetto alla filosofia analitica in genere, la storia è per l’estetica meno illuminante, se non altro perchè gli antecedenti dell’estetica analitica strictiori sensu, cioè il positivismo logico e la filosofia del linguaggio ordinario, hanno avuto sull’estetica un impatto incomparabilmente inferiore a quello che hanno avuto in altri settori della filosofia analitica
[P. D’Angelo, Introduzione all’estetica analitica, cit., p. XV].
Una definizione filosofica o metateorica richiederebbe dei presupposti teorici condivisi e una autocomprensione diffusa del proprio ruolo filosofico che invece, nell’estetica analitica, non sembrano esserci.
Invece, nonostante queste difficoltà, sembra che una definizione stilistica sia plausibile, anche se probabilmente sarebbe rigettata dagli esponenti dell’estetica analitica (in quanto poggia su una nozione, quella di “stile”, molto generica).
Nonostante possa apparire superficiale, una definizione stilistica permette di rendere conto di molte delle differenze che più colpiscono chi, come me, affronta i testi dell’estetica analitica, venendo da studi differenti.
Simona Chiodo sottolinea le tre caratteristiche principali dello “stile” dell’estetica analitica:
[Chiodo, Simona, a cura di, Che cosa è arte, UTET, Torino 2007, p. XXVIII]
- l’argomentazione è rigorosa e mette in atto alcune procedure in particolare, cioè la dichiarazione degli obiettivi […], il chiarimento delle parole usate ad hoc e il controllo dell’ambiguità […] e l’esemplificazione, che fa del particolare un esempio dell’universale e non fonda un meccanismo di induzione che generalizza […].
- l’oggetto di analisi è circoscritto a questioni specifiche e a una selezione di casi specifici […].
- l’interesse è analitico e descrittivo e non storico e biografico/bibliografico, cioè verticale e non orizzontale, quasi il lavoro del filosofo corrispondesse a una procedura di laboratorio che analizza oggetti estratti dalle loro strutture genetiche […]. Ed in qualche caso senza note di riferimento.
Queste caratteristiche non sorgono casualmente o da una pianificazione “a tavolino”, nascono invece da delle esigenze teoriche ed è possibile provare a seguire e a ricostruire la loro genesi. Indicazioni importanti a riguardo si trovano nella introduzione di Simona Chiodo alla raccolta di testi Che cosa è arte (cit.) e nel primo capitolo (Che cos’è l’estetica analitica?) di Estetica analitica, un breviario critico (cit.) di Stefano Velotti.
L’uso di tale etichetta, “estetica analitica”, ormai molto diffuso, è quindi plausibile, seppur con alcune specifiche.
Libri in italiano sull’estetica analitica
Per chi vuole approfondire gli studi sull’estetica analitica, mi sento di consigliare alcuni testi di (o curati da) autori italiani che hanno contribuito (e stanno contribuendo) alla diffusione ed alla critica delle tematiche più rilevanti:
- Chiodo, Simona, a cura di, Che cosa è arte, UTET, Torino 2007.
- D’Angelo, Paolo, (a cura di), Introduzione all’estetica analitica, Editori Laterza, Roma-Bari 2008
- Kobau, Pietro; Matteucci, Giovanni; Velotti, Stefano, a cura di, Estetica e filosofia analitica, il Mulino, Bologna 2007
- Velotti, Stefano, La filosofia e le arti. Sentire, pensare, immaginare, Editori Laterza, Roma-Bari 2011
- Velotti, Stefano, Estetica analitica, un breviario critico, Aestethica Preprint, Palermo 2008