Il grande borghese indistinto

“L’Asino” è stato un giornale satirico di ispirazione socialista attivo dal 1892 al 1925. Fondato da Guido Podrecca – che ne curava i testi – e da Gabriele Galantara, autore dei disegni, ebbe un ottimo successo di pubblico prima che i dissidi di posizionamento politico tra i due fondatori diventassero insanabili.

Una delle copertine de L’Asino, Giolitti bifronte, gode ancora oggi di una certa notorietà perché utilizzata in alcuni manuali di storia a corredo dei capitoli dedicati all’età giolittiana. Vidi la prima volta questo disegno quando ero alle medie e mi colpì molto sin da subito. Non tanto per l’interesse nei confronti del personaggio storico Giolitti ma proprio per la figura, per il disegno.

La vignetta mostra Giolitti che rassicura borghesia e proletariato utilizzando argomenti opposti e speculari.

Asino - giolitti bifronte
La copertina de “L’asino” con la caricatura “Giolitti bifronte”.

Un grande personaggio travestito da borghese e contemporaneamente da intellettuale democratico. Da una parte elegante, dall’altra vestito con decoro morigerato e con un papillon rosso un po’ “bohemien”. Una figura curiosa.

Il “Giolitti bifronte” è enorme in confronto ai borghesi e agli operai. Ma, nonostante le grandi dimensioni, non appare granché minaccioso. Essendo in se stesso scisso, diviso in due, “Giolitti bifronte” ha la capacità parlare con tutti e tuttavia non esprime un suo proprio punto di vista. E’, si potrebbe dire, incapace di particolari aspirazioni e attitudini, se non appunto quella di sapersi rapportare a tutti, sovrastando gli altri dall’alto della sua indeterminatezza. “Giolitti bifronte” è l’immagine di un grande borghese indistinto e in se stesso scisso.

Quando vidi per la prima volta questa caricatura, a fine Anni ’90, il conflitto tra borghesia e classe operaia appariva vecchio, passato, un fenomeno storico definitivamente superato, anche se recente. Le classi si erano dissolte, sostituite da un’unica generica idea di cittadinanza. Questo grande borghese indistinto, Giolitti bifronte, mi pareva un’immagine adeguata per rappresentare una società che mi veniva raccontata come omogenea e con un unico, confuso, modello di riferimento.

Un’umanità omogenea ma in se stessa divisa, in qualche modo simile alla vignetta, è stata, anni più tardi, effettivamente postulata, ad esempio da David Brooks, che ha introdotto il termine “bobo” per indicare un gruppo di persone caratterizzate da una mentalità in parte borghese, in parte bohemien.

Di lì a poco anche la politica di sinistra prese atto della fine delle classi in modo esplicito: padroni e operai non esistono più, si diceva. Tutti uguali, tutti lavoratori, senza differenza. Basta con il conflitto. La sinistra si proponeva di rappresentare tutti i lavoratori. E anche, ovviamente, i non lavoratori. La sinistra, insomma, avrebbe dovuto rappresentare tutti e puntare a diventare un partito maggioritario, perché appunto, avrebbe preso i voti di tutti.

La maggioranza dell’elettorato non si convinse. Il principale esponente della coalizione avversa al PD vinse infatti le elezioni e Crozza fece ridere il Paese con una satira splendida di Veltroni, il “ma anche”. Il PD era un partito operaio, ma anche il partito dei padroni.

L’ideologia del grande borghese indistinto

Se ripercorro la mia biografia e quella dei miei coetanei vedo una generazione di persone in cerca di una strada nonostante la società italiana. Nonostante. C’è poco da fare. Abbiamo costruito la nostra vita “nonostante”. Siamo, cioè, cresciuti contro. Alcuni con maggiori comodità, i più ricchi, altri con più difficoltà, anche estreme. Tutti però abbiamo avuto un approccio in qualche modo conflittuale sia con il mondo che con noi stessi. Lacerazioni, conflitti interni ed esterni, che abbiamo sempre vissuto – alla fine – individualmente e mai all’“esterno”, nel mondo, proprio perché il conflitto sociale semplicemente non l’abbiamo mai vissuto.

Detto in altri termini: consideriamo l’andamento della nostra vita unicamente una nostra responsabilità o, al massimo, accolliamo responsabilità immani ai nostri genitori, anche per gli errori che commettiamo in età adulta. Tutto ciò che di sbagliato ci accade è, alla fine, colpa nostra o dei nostri genitori.

Una critica sociale, naturalmente, è diffusa anche nella mia generazione. Ma più che di critica sociale si tratta, in effetti, di una generica lamentela verso categorie molto vaste, probabilmente poco significative: i politici fanno schifo, l’Italia non funziona, il sud è un disastro e così via…

Locuzioni un tempo all’ordine del giorno come borghesia, classe operaia, conflitto, capitalisti sono quasi del tutto assenti, anche nelle conversazioni private. E quando vengono utilizzate, spesso a sproposito, sono sempre concetti che non ci riguardano, categorie a cui non apparteniamo.

Siamo parte del grande borghese indistinto. La società ci appare come un dato naturale, un fatto. L’articolazione della società si è liquefatta. Sappiamo che c’è, ma è come se non esistesse.

Ognuno di noi ha trovato il suo modo di sentirsi meno solo, di appartenere, in qualche modo, a qualcosa di collettivo.

Alcuni sono tornati a infeudarsi nelle ideologie tradizionali, quelle religiose, ad esempio, ma anche in aspetti della vita che apparivano fino a pochi anni fa decisamente superati. Sui social, per esempio, sono tantissime le donne che raccontano della propria identità in quanto mamme.

Quasi tutti, comunque, abbiamo battuto strade più originali – talvolta davvero particolari, quasi surreali. Quotidianamente mi tocca parlare con gente che si fa un’identità in quanto runner, make-up artist, gamer, esperto di respirazione e cose simili…non si tratta di semplici passioni o professioni. In mancanza d’altro, sempre più persone costruiscono intere subculture partendo da attività molto specifiche.

I pochi che ancora fanno mestieri in qualche modo tradizionali, tipo gli insegnanti, i medici, gli avvocati, gli artigiani, tendono a far diventare il proprio lavoro un’identità sia sociale che personale. Alcuni, pochi, sono finiti in gruppetti identitari deliranti, tipo terrapiattisti e no vax.

Considerarsi semplicemente individui, monadi in viaggio (talvolta allo sbando), in un mondo omogeneo e aperto a tutte le possibili filosofie, è ideologia. Perché l’uomo è essere sociale, non monade autonoma. Su questo ormai le idee dovremmo avercele chiare. L’uomo è sociale proprio in senso biologico, non può cioè sopravvivere alla nascita se qualcuno non si prende cura di lui.

Questa ideologia individualistica, se così la si può chiamare, ha dei tratti in comune con quella criticata da Marx nel primo capitolo del Capitale e a cui lui reagiva con un pensiero che metteva in discussione radicalmente l’organizzazione sociale.
Il progresso che la nostra società ha fatto superando il marxismo non significa, di per sé, esser riusciti a superare l’ideologia tout court: bisogna ammettere che l’ideologia continua a segnare profondamente la nostra società. Ed è un’ideologia largamente individualista.

Più che essere andati avanti, pare di essere tornati allo stesso punto in cui si trovava lui. A dover riaffermare che, al di là di tutto, esiste una questione sociale e che non tutto dipende dai meriti e dalle responsabilità individuali.

Bisogna che in qualche modo il nostro dibattito pubblico si faccia carico della violenza psicologica che questa ideologia ha esercitato in chi è nato a partire dagli Anni ’80 in poi. Continuare a mettere la polvere sotto il tappeto, trincerandosi dietro al fatto che il mondo che abbiamo costruito è migliore delle alternative, non può più bastare. Non è andato tutto male. Ma non tutto va bene.

Perché ci droghiamo? Perché ci prostituiamo su OnlyFans? Perché abbiamo problemi economici? Perché abbiamo rapporti d’amore tossici e violenti?

No, non è sempre tutta colpa nostra. Non è possibile sia sempre colpa del singolo. Droga, prostituzione, povertà, violenza domestica, sono fenomeni di massa. Non possiamo continuare a scaricarli tutti sugli individui. Dovremmo riuscire a fare le giuste distinzioni tra responsabilità individuali e collettive, ma non ci riusciamo perché l’ideologia ci ha fregato di nuovo.

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