Chi sono i “bobo”? Significato e definizione

Uno dei miei amici storici si è trasferito in Francia parecchi anni fa. Quando torna a Roma mi racconta di quanto sia bello vivere a Parigi, con i buolevard, le baguette, la liberté, i diritti e tutto il resto. Mi spiega come sta andando bene la sua startup, degli investitori, degli assegni che prende per i figli…

Dal canto mio, invece, lo aggiorno sulle mie nuove strategie per evitare di inciampare sui sacchi di immondizia davanti al portone e sul fascino poetico delle lucciole che d’inverno si riscaldano all’angolo della via bruciando copertoni e sterpaglia. Quando rientro la sera tardi nel mio quartiere completamente impregnato del piacevole aroma della gomma bruciata, penso: casa, finalmente. So che tutto questo manca terribilmente al mio amico. Io davvero non saprei come farne a meno.

In uno degli ultimi incontri, con lui ed altri amici, la conversazione è caduta sui quartieri di Roma. Questo gruppo di amici che quando eravamo ragazzi stanziava a Trastevere, davanti al baretto di San Callisto, ha incominciato ad emigrare con sempre più frequenza a Ostiense e a Centocelle.
Sono rimasto sorpreso. Se la migliore borghesia romana inizia a mischiarsi col proletariato, davvero non c’è più religione. Ma mi hanno corretto, spiegandomi che Centocelle non è più proletaria, tanto meno Ostiense. Sono diventati quartieri “bobo”. Né borghesi, né proletari.

Il nome, sicuramente per merito della pronuncia alla francese (non come Bobo Vieri, per capirci), mi ha fatto subito simpatia. Tanta simpatia da finire a fare da payoff nel nuovo sito che stavo realizzando: “LEMONA – RAPSODIE BOBO”.

Ho chiesto poi al mio collega del Quadraro, Fabio, se gli tornasse questo racconto di Centocelle come quartiere bobo. Mi ha risposto tranchant: “se ci vai e gli dici bobo occhio che cacciano il coltello”. Va bene, non lo so se Centocelle è davvero bobo. Ma dopo due mesi di ricerche posso dire che Ostiense lo è di sicuro. E non solo Ostiense.

Bobo - Parigi

Cosa significa “bobo”

Bobo è una crasi di bohemien e bourgeois (borghese) e lo pronunciamo alla francese anche in Italia perché il termine si è affermato proprio nella nazione della rivoluzione.
In italiano il termine può essere usato sia come sostantivo per indicare un gruppo di persone, i bobo, che come aggettivo, ad esempio “quartieri bobo”, “stile bobo”, “società bobo” e così via. A differenza dei francesi, non lo decliniamo al plurale: un bobo, i bobo.

Indica un certo modo di essere borghesi e al contempo ribelli, bohémien, per l’appunto. E’ sinonimo in Francia di “gauche caviar” o, locuzione più diffusa in Italia, di “radical chic”. Quest’ultima espressione da noi ha una connotazione fortemente negativa perché viene usata in senso critico da destra contro sinistra, in particolare contro giornalisti e intellettuali.

In Francia anche bobo ha una connotazione spesso negativa, come anche “gauche caviar”, proprio perché è stato usato più volte da Marine Le Pen per identificare gli avversari politici.

In Italia però bobo è abbastanza neutrale, o quantomeno, a me fa simpatia.

Come è nato il termine bobo

Se è vero che il termine è divenuto molto noto in Francia, la sua genesi è made in USA. Il termine è stato infatti coniato da David Brooks nel suo fortunatissimo libro “Bobo’s in paradise: the new upper class and how they got there” del 2000, testo che, misteri dell’editoria, non è ancora stato tradotto in italiano.
Il libro di Brooks è ancora oggi il punto di riferimento fondamentale per chi abbia voglia approfondire questo concetto.

Brooks è uno dei più influenti opinionisti americani, editorialista del New York Times e autore di numerosi libri di grande tiratura negli Stati Uniti. Il suo saggio “Bobo’s in paradise” ha avuto grande successo e aperto dibattiti numerosi, tanto da finire negli aperitivi dei trentenni romani.
E’ un libro di sociologia, ma non, come spiega lo stesso autore, della sociologia impostata e scientifica di Max Weber. E’ una sociologia di taglio giornalistico, fortemente ironica, non di rado sarcastica. L’autore fa un quadro dei bobo molto dettagliato descrivendo la classe di cui egli stesso è parte. E lo fa non lesinando battute taglienti su idiosincrasie e peculiarità di questo gruppo di persone che, con tutta evidenza, ben conosce.

Nel complesso, tuttavia, l’immagine dei bobo che emerge dal libro di Brooks è sostanzialmente positiva. Specie se questa classe viene confrontata con la borghesia egemone del Novecento.

Brooks scrive naturalmente della società americana, tuttavia le sue considerazioni sono in larga parte applicabili anche ad altri Paesi occidentali. Fatto questo che spiega la diffusione internazionale del termine bobo, ma che indica anche, una volta di più, l’omogeneità di quello che chiamiamo “Occidente”. In molti passaggi del libro ho avuto la sensazione che Brooks, trattando delle città americane, descrivesse precisamente alcuni fenomeni avvenuti anche da noi, magari con un po’ di sfasamento temporale, spesso – ma non sempre – perché gli USA anticipano tendenze che poi si diffondono, con qualche differenza, anche in Europa.

Chi sono i bobo

I bobo sono dei borghesi che – per ragioni sia biografiche che culturali – si sentono eredi della bohème, termine con cui Brooks racchiude un filone culturale che, partendo dalla bohème storica ottocentesca, arriva sino ai Beats e ai gruppi ribelli degli Anni ’60 e ’70.
La dualità tra borghesia e bohème che i bobo sono riusciti a superare con un lungo percorso, che Brooks ricostruisce storicamente in modo molto preciso, resta comunque, anche oggi, una caratteristica importante di questa classe.

A livello individuale, infatti, la scissione tra l’anima borghese e quella bohémien tende a riapparire più volte nel corso della biografia di un bobo. E’ una tensione, a volte un vero e proprio conflitto interno, che viene sì superato, ma non sempre e non per tutti in modo definitivo, e che porta ad una costante ricerca di modi di vivere, relazionarsi e lavorare, capaci di mettere fine a questo conflitto. Non di rado anche a momenti di radicale messa in discussione di se stessi e di ansia, una delle caratteristiche più comuni di questa classe.

E’ un “conflitto” molto complicato da risolvere internamente, i bobo infatti – essendo borghesi – appartengono alla classe che i loro antenati bohémien – e talvolta anche loro stessi da giovani – detestavano. Questa dualità continuamente da ricomporre comporta anche delle caratteristiche sociali diffuse. I bobo, ad esempio, sono una classe che non si riconosce come classe come nessuna altra classe ha mai fatto in passato.

Mentre gli oppositori dei bobo, anche in modo sguaiato e superficiale, identificano continuamente questa classe come riferimento polemico, i bobo non si sognerebbero mai di riconoscersi parte di un movimento più complessivo.

I riferimenti polemici, anche nel dibattito pubblico italiano, sono frequenti. L’ultimo che ho sentito è del giornalista Sallusti che in un talk show parlava della “sinistra di Sanremo”. Gli oppositori, insomma, identificano i bobo come gruppo per criticarli. I bobo, invece, non si sentono minimamente parte di un gruppo. Nessuno si direbbe mai parte della “sinistra di Sanremo”, neanche chi a Sanremo ci stava ed è effettivamente di sinistra. Lo stesso vale per qualsiasi etichetta, da radical chic a bobo a gauche caviar…

Provate a dire a un bobo che è bobo e vi dirà che non è vero. Probabilmente anche innervosendosi. A Monti come a Centocelle. Ma anche negli USA o in Francia, secondo Brooks.

Brooks non indica solamente i bobo come classe, sostiene anche che siano la classe dominante negli Stati Uniti, esattamente quello che pensano i loro oppositori, a cominciare da Trump. Una classe che ha guidato la società statunitense per almeno vent’anni, senza però prendersi la responsabilità di esserne alla guida. Se infatti un bobo non si ritiene parte di una classe, tanto meno può pensarsi membro della classe dominante. Eppure proprio le reazioni sbigottite e stupefatte, sia in America che in Europa, all’elezione di Trump, hanno svelato quanto sia in effetti diverso quando la guida del Paese viene presa da qualcuno che per biografia e politica veramente non appartiene alla tua stessa classe.

Il libro di Brook naturalmente, essendo del 2000, non arriva all’elezione di Trump, ma in un suo interessante articolo per The Atlantic – largamente autocritico – ha affrontato lungamente questo evento.

Inteso in senso sociologico e generale, il termine bobo non indica una persona di sinistra. Si può essere bobo tanto a sinistra quanto al centro o a destra. La critica a questa classe viene però spesso da destra, e si tratta solitamente di tentativi banali di dare una forma a qualcosa di abbastanza complesso. Spesso i critici di destra che si scagliano contro l’altra parte identificandola in modo cangiante come ‘radical chic’, ‘professoroni’, ‘intellighenzia’, e via discorrendo, sono, in termini puramente biografici e descrittivi, essi stessi bobo. E la critica dell’establishment di cui fanno parte è per l’appunto voce della loro anima bohemien.

Sviluppando il ragionamento di Brooks, insomma, si è bobo esattamente come si è borghesi, nobili o proletari. Lo si è di fatto, indipendentemente da come ci si percepisce. Avere poi o meno coscienza di classe, è un fatto culturale e di auto-rappresentazione. I bobo comunque non hanno coscienza di classe, siano essi di destra o di sinistra.

I bobo: cultura, merito e società dell’informazione

E’ solo nell’era dell’informazione che l’accordo tra borghesia e bohème diventa possibile. In particolare, è stata la crescita del tasso di scolarizzazione delle società occidentali in epoca post-industriale a contribuire in modo determinante al cambiamento di mentalità e modi di vivere tradizionali. A partire dagli Anni ’50, gli studenti sono diventati un gruppo sempre più rilevante nelle società occidentali, anche in termini meramente numerici, e hanno iniziato a partecipare in modo consistente al discorso pubblico, anche con scontri e frizioni di ampia portata.

In Italia un rapido confronto tra i due momenti di maggiore contestazione politica fa apparire in modo molto chiaro quanto il ruolo degli studenti sia andato acquisendo importanza nel corso del Novecento. Se nel primo Biennio Rosso del ’19 – ’20 Gramsci cercava un’alleanza rivoluzionaria tra operai e contadini – tentativo, come è noto, fallito – nel secondo biennio rosso del ’68 – ’69 gli studenti furono, assieme agli operai, uno dei cardini dei movimenti insurrezionali, mentre i contadini, sempre più marginali anche in termini numerici a seguito della terziarizzazione dell’economia, scompaiono dal cuore dell’azione politica e della riflessione intellettuale.

Brooks si sofferma lungamente sul sistema educativo americano e sulla sempre maggiore importanza che in quel sistema ha avuto una rigida meritocrazia, largamente basata sugli esiti di test attitudinali e di verifica delle competenze.
La cultura più saldamente umanistica italiana – così come la maggiore rilevanza sociale nel nostro Paese delle conoscenze e degli agganci di stampo familistico e mafioso – ha sicuramente reso le valutazioni rigidamente meritocratiche meno rilevanti da noi che negli USA. E tuttavia basta dare uno sguardo ai test Invalsi, ai quiz dei concorsi pubblici o anche alle richieste di curricula surreali per mansioni tradizionalmente a bassa professionalità nei portali di annunci di lavoro, per rendersi conto quanto anche da noi si sia in qualche modo diffusa questa metodologia di approccio all’istruzione e al lavoro.

Estremizzando anche in chiave ironica, Brooks legge la società americana come una meritocrazia in cui l’apice viene raggiunto dagli studenti con il miglior punteggio ai test SAT capaci poi, nel lavoro, di ritagliarsi una posizione in cui le proprie capacità creative e personali vengano valorizzate, nell’ottica di una piena realizzazione prima di tutto umana e poi, certo, anche economica. In ogni caso una realizzazione individuale, non collettiva.

E’ proprio l’individualismo uno degli elementi in comune tra la borghesia contemporanea e la bohème storica. Se il bohémien si apparta dalla massa in senso critico, disgustato da essa, il giovane studente borghese, che pure intrattiene numerose relazioni sociali, terminata la contrapposizione sociale e politica degli Anni Settanta, valuta se stesso esclusivamente in un’ottica di realizzazione personale.

Il bobo insomma vive seguendo in primis un proprio filo di ricerca personale, cercando un modo di ritagliarsi un ruolo sociale in un mondo che pure contesta e da cui non si sente pienamente rappresentato.

Benjamin Braddock, il protagonista del film del 1967 Il laureato di Mike Nichols, interpretato da Dustin Hoffman, rappresenta per Brooks l’immagine del giovane bobo. Studente brillante appena diplomatosi al college viene accolto al ritorno a casa da grandi aspettative della famiglia e dell’alta borghesia di cui fa parte. Ma Benjamin non si riconosce nel mondo a cui è destinato, appare confuso, stralunato. Tornato dal College, sembra un pesce fuor d’acqua.

Benjamin non guarda il mondo semplicemente con gli occhi della borghesia da cui proviene. Non mostra nessun interesse nei confronti del ruolo sociale che dovrebbe assumere né ha nessuna velleità economica. Non sa cosa fare, è confuso, perché ciò che sente e le aspettative di ciò che dovrebbe diventare non coincidono. Nel corso dell’estate cerca, tra peculiari vicissitudini amorose, di trovare la sua strada.

I bobo non escono dall’ambito della borghesia, non hanno in mente nessun salvifico progetto politico ma hanno comunque una dimensione bohémien che, coltivata negli anni di studio, non gli consente di adeguarsi semplicemente al mondo che si trovano davanti. Il ruolo destinatogli nel mondo dei padri, così com’è, non fa per loro. L’ottenere un ruolo sociale apicale o costruire un patrimonio economico non gli sembra, di per sé, un traguardo sufficiente.

Per questo i bobo reinterpretano la società borghese a modo proprio, ciascuno seguendo la propria individualità e predilezione.
Tra i bobo i matrimoni diminuiscono e comunque cambiano, anche nel rito. I bobo scrivono di loro pugno promesse originali e romantiche spostando il senso del matrimonio dalla promessa di fronte a Dio di amarsi per sempre all’incontro tra due visioni della vita individuali e originali che si combinano perfettamente. Magari solo per una fase della vita, visto l’aumento dei divorzi.

I bobo possono sposarsi in Chiesa, ma anche al comune, o in spiaggia, o nella baita di famiglia. Il matrimonio può essere celebrato da un prete, magari un amico d’infanzia, ma anche da un avvocato o da un funzionario comunale. La sposa può avere l’abito bianco, ma anche indossare solo un costume, o anche, la sposa può semplicemente non esserci.
Le coppie possono avere o non avere figli. Ma se partoriscono, ogni donna partorisce a suo modo, seguendo i filoni scientifici o filosofici che ritiene più adatti a sé. I bobo non si limitano a portare i figli a scuola. Decidono, in base alla loro individualità, se sia meglio per i loro figli fare o no il nido, se frequentare una scuola internazionale, nel bosco, religiosa o pubblica. I bobo possono avere o non avere rapporti con le famiglie d’origine, più o meno stretti.

Ma i bobo non reinterpretano solo i rapporti personali, reinterpretano tutto. Il corpo dei bobo non è un dato di fatto. Possono avere i capelli neri, ma anche bianchi, verdi o rossi, in periodi diversi della loro vita, in relazione allo stato d’animo. Ognuno ha il suo stile e per ogni aspetto, dalla barba alla pedicure, esiste una filosofia, un approccio, che considerano migliore per se stessi. Stesso dicasi per l’attività fisica. Un bobo non va a fare sport nel posto più vicino a casa, un bobo studia quale sia la migliore attività fisica che può compiere in relazione al suo modo di vedersi nel mondo. Stesso dicasi per ciò che mangiano, per dove vivono. Tutto. L’individualità del bobo si esprime in qualsiasi cosa.

Il bobo non lavora e basta. Lavora sempre in un’ottica di crescita personale. Paradossalmente, i bobo spesso fanno tanti soldi, ma non vogliono farli. Anche gli imprenditori più cinici, hanno storie molto diverse da quelle della generazione precedente. Non sono coraggiosi capitani d’avventura, ma neanche manager ultra razionalisti, sono persone che seguendo il corso della propria vita si sono ritrovati, quasi per sbaglio, a fare i milioni.

I propri successi professionali vengono citati un passant nelle conversazioni, ciò su cui realmente si appassionano, ciò che per loro conta, è sempre qualcos’altro.

Che un gruppo di persone così eterodosso e disorganizzato possa diventare egemone è possibile solo in una società fondata sui servizi e caratterizzata dal proliferare delle informazioni. Nell’era dell’informazione solo chi sa come maneggiare, interpretare, sfruttare l’informazione, può sentirsi a suo agio in un mondo che appare semplicemente come caotico e senza direzione a chi non ha gli strumenti per decodificarlo. Una società complessa richiede capacità di lettura, la capacità che ha chi ha una cultura, anche – ma non solo – in senso universitario.

Il bobo sa maneggiare e rielaborare in senso proprio le informazioni e le utilizza per dar forma alla propria vita personale e sociale. Applica alle piccole cose quotidiane la sua cultura, rendendo qualsiasi cosa potenziale espressione della propria identità individuale.

La società contemporanea viene spesso descritta dai suoi oppositori come immorale e sfrenata. E’ questa mancanza di regole ferree definite che tende a dare, a chi bobo non è, un’idea di vaghezza e liquidità, di mancanza di punti di riferimento. Ma non è così. I bobo sanno come comportarsi, non sono più allo sbando come Benjamin nel ’69, perché terminati gli studi sanno già che il mondo è come dicono loro, non come gli è stato raccontato dalla scuola e dalla famiglia. E iniziano a conoscerlo sempre più in giovane età grazie ai nuovi media.

Man mano che si è affermata questa classe sociale ha definito sempre più nuove regole e nuovi punti di riferimento che permettono a tutti i bobo di riconoscersi tra loro e di capire immediatamente chi si muove al di fuori del loro orizzonte comportamentale e valoriale. Come Trump, per usare un esempio già fatto in precedenza.

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