La svolta immaginativa dell’estetica analitica

Abbiamo provato a chiarire in alcuni articoli precedenti come l’immaginazione sia fondamentale nell’articolazione delle principali nozioni di Mimesi come far finta. Tale centralità dell’immaginazione nella proposta teorica di Kendall Walton è di grande importanza per la comprensione del dibattito analitico. Questo testo viene infatti considerato uno dei testi più importanti di un cambiamento teorico che ha fatto parlare di una “svolta immaginativa” dell’estetica analitica:

Si potrebbe dire, tagliando con l’accetta, che l’estetica analitica si è sviluppata a partire dal secondo dopoguerra e che, da allora, ha seguito a modo proprio le principali tendenze della filosofia analitica nel suo complesso: prima, nel corso della ‘svolta linguistica’, si è presentata per lo più come una ‘filosofia del linguaggio della critica d’arte’ (che statuto ha il linguaggio nel suo uso all’interno dei modi in cui descriviamo e giudichiamo le opere d’arte?); poi, ha subito una svolta metafisica e ontologica (come definire le opere d’arte? Che cos’è un’opera d’arte? Se dovessimo inventariare le cose del mondo, che statuto dare all’oggetto artistico rispetto ad altri oggetti o eventi?); l’ultima fase – quella attuale – la caratterizzerei, forzando un po’, come una ‘svolta immaginativa’, contraddistinta anche da un dialogo con le scienze cognitive in senso lato.
[Velotti, Stefano, La filosofia e le arti. Sentire, pensare, immaginare, Editori Laterza, Roma-Bari 2011, p. 84]

Lo stesso Walton, scrivendo questo testo, è pienamente consapevole dello spostamento di prospettiva teorica che sta proponendo:

Molti teorici dei nostri giorni, in particolare, si rivolgono al linguaggio – ai funzionamenti delle lingue naturali in contesti standard, ordinari, non fittizi – alla ricerca di modelli sulla base dei quali comprendere romanzi, dipinti, teatro e cinema. Il mio porre l’accento sul far finta è in parte inteso a controbilanciare gli eccessi di questo approccio. Non nego che i modelli linguistici abbiano parecchio da offrire. […] Ma ogni modello presenta i suoi rischi, e quelli linguistici hanno tanto dominato la riflessione recente sulla finzione e le arti rappresentazionali che molti dei loro limiti sono passati inosservati. E’ ora di guardare le cose da una rinnovata prospettiva. […] In ogni caso è essenziale allentare la stretta che il linguaggio ha esercitato sul modo in cui concepiamo la rappresentazione e vedere attraverso le distorsioni che ha generato. Possiamo sempre ritornare ai modelli linguistici in un secondo momento per apprezzare ciò che di buono vi è in questi.
[Walton, Kendall L., Mimesis as Make-Believe, Harward University Press 1990; trad. it. di Marco Nani, Mimesi come far finta, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2011, pp. 23-24]

L’intero libro trae giovamento da questo cambio di prospettiva, non solo, come abbiamo visto nel caso della finzione e della rappresentazione, con proposte teoriche forti e innovative rispetto alle precedenti, ma anche in una generale “leggerezza” dello stile complessivo dell’argomentazione. Esso sembra aprire nuovi filoni di ricerca.
Tuttavia, in questo testo, una nozione complessiva di immaginazione non viene fornita. Walton infatti si limiterà a fornire alcune distinzioni interne al concetto, senza poi essere in grado di trovare il filo che le unisce. Queste distinzioni interne all’immaginazione sono molto importanti, fin qui infatti ci siamo riferiti all’immaginazione come ad una capacità univoca e compatta. Sembra invece che essa svolga molti ruoli che Walton aiuta a delineare, come vedremo in articoli successivi.

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