Cent’anni di solitudine, il cui titolo originale è Cien años de soledad, è un romanzo del 1967 scritto dallo scrittore colombiano Gabriel García Márquez. Lo scrittore Premio Nobel ha saputo ricreare efficacemente un ritratto generazionale, osservando criticamente ma mantenendo intatto il filtro della sensibilità, quei personaggi che si muovono nelle trame del racconto. Questa pubblicazione è considerata una delle migliori della letteratura del Novecento, oltre che il migliore romanzo scritto dal suo autore. Il romanzo è stato tradotto in ben trentasette lingue e conosciuto ovunque.
Le vicende di diverse generazioni della famiglia Buendía ne sono il fulcro narrativo. Il capostipite della famiglia è José Arcadio, il fondatore della città di Macondo, nata alla fine del XIX. Cent’anni di solitudine presenta uno stile particolare, originale, evocativo, accostandosi alla corrente culturale del realismo magico. Appunto, le storie narrate pur non essere reali, sono realistiche. Sono ispirate da avvenimenti accaduti nel corso della storia sudamericana, e poi, trasfigurate dal genio dello scrittore in uno stile personalissimo, che contempla anche eventi di fantasia. La storia diventa quasi mito, leggenda, favola.
Eppure, si tratta di un modo di accostarsi agli eventi reali, una loro interpretazione viva, lucida, perché solo dalla visione critica che deriva da uno spirito libero può nascere un intero mondo simbolico. Questo, diviene uno strumento di comprensione del mondo reale, dei suoi eventi, del suo procedere talvolta incomprensibile sotto l’urto della storia. Ma cos’è in fondo la storia se non un succedersi, un concatenarsi di fatti legati agli uomini? Uomini, appunto, che abitano in una cittadina chiamata Macondo, immaginaria quanto basta per consentire ai suoi residenti di agire assecondando il proprio libero arbitrio, muovendosi tra volontà e destino. Si tratta di un microcosmo in cui si muovono persone spinti da desideri, bisogni, necessità.
I capitoli del romanzo sono separati tra loro da una semplice interruzione di pagina senza presentare numerazioni né titoli. Tutto il racconto è affidato nella sua narrazione a una scrittura semplice, veloce, e ricca di eventi, in cui persino i nomi dei protagonisti, così simili, possono talvolta disorientare il lettore. Eppure, tutto sembra ricondurci a una riflessione sulla presenza e l’azione dell’imprevedibilità che chiamiamo fato, destino, divino. Così, alla fine del romanzo, nel momento in cui le pergamene di Melquíades sono decifrate, arriva un forte vento che getta nell’oblìo la cittadina di Macondo. Una famiglia così piena di sogni, timori, e di umani sentimenti, fa i conti con quella che è una componente dell’esistenza storica, con la disillusione, con il crollo delle proprie fantasie.
Questo procedere emotivo dell’umanità accomuna ogni progressione storica, intesa come concatenamento di eventi. Cosa muove il mondo se non le pulsioni, passioni, i desideri, le forme di amore? Questa Macondo così immaginaria, che si lascia cogliere, immaginare con fantasia dallo stesso lettore finisce per essere una metafora di ogni città del mondo, e quei personaggi diventano simbolo di tutti noi, abitanti della Terra, soggetti alle leggi della natura.