Il 28 luglio 1914 l’Austria-Ungheria dichiara guerra alla Serbia. In breve le potenze europee, già divise in blocchi contrapposti, si schierarono sull’uno o sull’altro fronte: Germania, Turchia e Bulgaria entrarono in guerra in sostegno dell’Austria-Ungheria. Russia, Francia, Inghilterra e Giappone a difesa della Serbia. Mezzo mondo si ritrovò coinvolto in una guerra che in molti non volevano affatto.
L’Italia era legata da un patto militare difensivo, stipulato nel 1882, con l’Austria-Ungheria e la Germania. Tuttavia, essendo l’Austria il Paese aggressore, l’Italia restò, nel primo anno di guerra, neutrale.
Un ampio dibattito si aprì nel Paese tra chi era favorevole all’intervento bellico e chi contrario. Gli schieramenti erano trasversali, con numerose eccezioni anche all’interno dei singoli movimenti politici. Gran parte dei cattolici e il partito socialista si attestarono su posizioni di neutralità. Anche Giolitti era contrario all’intervento militare. Erano invece interventisti buona parte dei democratici e i nazionalisti. D’Annunzio si distinse per una propaganda bellicista costante, colta e, alla lunga, efficace.
Il 18 ottobre 1914 esce sull’organo ufficiale del Partito Socialista, l’Avanti!, un articolo del direttore Benito Mussolini intitolato Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante.
Nell’articolo Mussolini rompe con la linea del partito che in precedenza aveva invece sostenuto in toto:
“Anche nel caso di una conflagrazione europea, l’Italia, se non vuole precipitare la sua estrema rovina, ha un solo atteggiamento da tenere: neutralità assoluta.
O il governo accetta questa necessità o il proletariato saprà imporgliela con tutti i mezzi.
È giunta l’ora delle grandi responsabilità. Il proletariato d’Italia permetterà dunque che lo si conduca al macello un’altra volta? Noi non lo pensiamo nemmeno. Ma occorre muoversi, agire, non perdere tempo. Mobilitare le nostre forze.
Sorga dunque dai circoli politici, dalle organizzazioni economiche, dai Comuni e dalle Provincie dove il nostro partito ha i suoi rappresentanti, sorga dalle moltitudini profonde del proletariato un grido solo, e sia ripetuto per le piazze e strade d’Italia: «Abbasso la guerra!».
È venuto il giorno per il proletariato italiano di tener fede alla vecchia parola d’ordine: «Non un uomo! Né un soldo!».
A qualunque costo!”
(Benito Mussolini, Abbasso la guerra!, Avanti!, 26 luglio 1914)
Sommerso dalle critiche, due giorni dopo si dimetterà da direttore del quotidiano. La rottura diverrà definitiva il 29 novembre con la sua espulsione dal PSI a seguito di duri attacchi rivolti al partito dal nuovo giornale aperto da Mussolini, il Popolo d’Italia.
Riletto a posteriori, l’articolo di Mussolini sembra essere uno di quegli eventi capaci di segnare il cambio di fisionomia di un periodo storico.
L’Italia entrerà in guerra il 24 maggio 1915 a fianco dell’Intesa e il contributo del Popolo d’Italia alla decisione fu tutt’altro che trascurabile. Mussolini, espulso dal PSI, fonderà il Partito Nazionale Fascista nel 1921. In ultimo, all’articolo risponderà, tra i tanti, anche Antonio Gramsci, con un pezzo di supporto a Mussolini pubblicato il 31 ottobre su Il grido del Popolo. Questo confronto tra i due politici italiani più rilevanti della prima metà Novecento merita, credo, di essere messo a fuoco.
L’articolo Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante di Mussolini
Del lungo articolo di Mussolini vale la pena sottolineare tre punti fondamentali: la critica alla neutralità assoluta e quindi al PSI che la sostiene, l’atto d’accusa ad Austria e Germania e, in ultimo, lo scivolamento di Mussolini verso il nazionalismo.
La critica alla neutralità assoluta è forte sin dalle prime righe:
“Da molti segni, è lecito arguire che il Partito Socialista Italiano non si è «adagiato» fra i cuscini di una comoda formula quale è quella della neutralità «assoluta». Comoda, perché negativa. Permette di non pensare e di attendere. Ma un Partito che vuol vivere nella storia e fare — per quanto gli è concesso — la storia, non può soggiacere — pena il suicidio — a una norma cui si conferisca valore di dogma indiscutibile o di legge eterna sottratta alle ferree necessità dello spazio e del tempo.”
La neutralità assoluta non può valere come norma indiscutibile capace di bloccare la storia. Del resto – prosegue Mussolini – a ben vedere la neutralità assoluta del PSI non è mai esistita. I socialisti, infatti, non sono equidistanti tra le fazioni in guerra, ma simpatizzano per la Triplice Intesa in funzione antiaustriaca.
“Ma è stata, ed è, veramente assoluta questa nostra neutralità socialista, o non è stata invece relativa e parziale? […] La nostra neutralità è stata sin da allora «parziale». Ha distinto. È stata una neutralità spiccatamente austrotedescofoba e, per converso, francofila.”
La critica alla neutralità assoluta si lega quindi all’opposizione, diffusa tra i socialisti, ad Austria e Germania. L’idea di Mussolini appare quindi chiara: rompere la neutralità assoluta – che di fatto, secondo il direttore, non è mai esistita – per schierarsi apertamente con la Triplice Intesa.
Il direttore continua perciò sfogando la sua retorica contro gli imperi centrali e, per avvalorare la coerenza del suo pensiero con ciò che aveva scritto in precedenza l’Avanti!, cita vari articoli passati, tra cui uno del 25 luglio:
«Noi non sappiamo quali siano i “patti” segreti di quella Triplice che fu così precipitosamente rinnovata dai monarchi all’insaputa e contro la volontà dei popoli, sappiamo solo e sentiamo di poterlo dichiarare altamente, che il proletariato italiano straccerà i patti della Triplice s’essi lo costringessero a versare una sola goccia di sangue per una causa che non è sua».
Se l’opposizione alla Triplice Alleanza risulta in effetti costante e già espressa chiaramente nei mesi precedenti, il richiamo all’articolo del 25 luglio come testimonianza di coerenza appare quantomeno cinico, visto il contesto di radicale mutamento di linea politica.
La funzione di questa presa di posizione ha, del resto, un significato completamente diverso rispetto al passato. Se prima la critica ad Austria e Germania era finalizzata ad evitare il coinvolgimento bellico italiano al loro fianco, ora serve invece a minare la posizione di neutralità assoluta, per spingere l’Italia ad allearsi con l’Intesa.
Bisogna “distinguere – logisticamente, storicamente, socialisticamente – fra guerra e guerra”, scrive Mussolini. La guerra fatta da Austria e Germania è diversa da quella subita da Belgio e Serbia. La Francia stessa, in qualche modo, è stata “costretta” ad entrare in guerra. La citazione che segue – il cui riferimento critico, oltre che la linea del Partito, è il pacifismo cattolico – sembra tratta da un quotidiano dei nostri giorni:
“Valutare tutte le guerre alla stessa stregua sarebbe assurdo e – ci sia concesso di dirlo – cretino. A guerra scoppiata, le simpatie dei socialisti vanno alla parte aggredita”
Prosegue Mussolini:
“La neutralità assoluta minacciava di «imbottigliare» il Partito e di togliergli ogni possibilità e libertà di movimento nel futuro. Accendere con una formula – che non imprigiona la storia – delle ipoteche sull’avvenire incerto, oscuro, imprevedibile, è un rischio estremo per un Partito che voglia combattere e non semplicemente e comodamente…sognare.”
Il passaggio sembra contenere un riferimento al Marx meno dogmatico e ideologico, al marxismo inteso come lotta nella concretezza storica dei rapporti di forza e non al marxismo dell’inevitabilità del comunismo, spinto al successo dalla forza dialettica della storia. Marx viene in effetti citato esplicitamente da Mussolini, in un senso simile a quello qui analizzato:
“Marx opinava che «chi compone un programma per l’avvenire, è un reazionario». Paradosso! Nel nostro caso, però, verità. Il programma della neutralità «assoluta» per l’avvenire è reazionario”.
Questo taglio di lettura di Marx potrebbe forse, ipotesi non dimostrabile, aver colpito il giovane Gramsci, che proprio verso questo Marx si rivolgerà negli anni successivi per articolare il suo modo originale di essere marxista e rivoluzionario.
Altro punto decisivo nell’argomentazione di Mussolini è l’insistenza sulla rilevanza delle problematiche nazionali. Mussolini sembra consapevole che la sua posizione rischi di diventare indistinguibile rispetto alle posizioni nazionaliste. Prova dunque a segnare la differenza tra il suo modo “socialista” di intendere la questione nazionale e quello dei “destri” e dei democratici, ossia degli interventisti.
Tuttavia, l’argomentazione complessiva mostra un evidente slittamento dal socialismo al nazionalismo.
Il punto di differenza tra la sua posizione e quella delle destre è, secondo Mussolini, nell’idea di nazione. La posizione neutrale presa all’inizio dai socialisti – che il direttore rivendica come adeguata a quella fase – ha impedito infatti la creazione di un “blocco di concentrazione nazionale”. Altro che concentrazione nazionale, scrive Mussolini, “il proletariato deve tenersi appartato dall’«umanità nazionale» che è – in definitiva – l’umanità borghese”.
Subito dopo, tuttavia, Mussolini pone al centro della riflessione proprio la questione nazionale. Lo fa con decisione, impeto e con il consueto sarcasmo confinante con l’insulto:
“Chi nega l’esistenza di «problemi nazionali» è simile all’aristotelico Simplicio nei dialoghi di Galileo sui «Massimi Sistemi». Poiché il sommo stagirita aveva detto che i nervi si dipartono dal cuore, il suo fedele discepolo Simplicio, molti secoli dopo, non voleva convincersi della realtà contraria, anche sperimentandola. I «Simplicio» del socialismo che negano l’esistenza dei problemi nazionali non sono meno ciechi e dogmatici del Simplicio aristotelico.
I problemi nazionali esistono anche per i socialisti.”
Poco più avanti Mussolini rincara la dose, menzionando il Trentino irredento. L’argomentazione procede sempre in bilico, da una parte il tentativo di non cadere esplicitamente nel nazionalismo né nell’irredentismo, dall’altra l’utilizzo di strumenti retorici e argomentativi propri di quei movimenti:
“Non si scivola sul terreno dell’irredentismo ammettendo l’esistenza di un problema «nazionale» italiano oltre gli attuali confini d’Italia. Il caso del Trentino è tale che forza alla meditazione i neutralisti più assoluti fra gli assoluti. Se questo popolo «italiano» fosse insorto contro l’Austria, con qual coraggio noi socialisti, che abbiamo avuto fremiti di solidarietà per gli insorti armeni, candiotti, ecc., avremmo impedito un intervento italiano? Ora il Trentino è «virtualmente», moralmente insorto.”
La proposta concreta di Mussolini viene chiarita nelle righe seguenti. E’ in questo breve accenno che sembra chiarirsi ciò che Mussolini intende effettivamente con neutralità attiva ed operante, locuzione che appare solo nel titolo dell’articolo e mai nel corpo del testo.
I socialisti non devono promuovere la guerra, rimanendo perciò neutrali. Tuttavia se la borghesia dovesse spingere per l’intervento, non dovrebbero opporsi:
“Poiché il problema dell’intervento militare italiano esorbita dalle nostre capacità e responsabilità di Partito di minoranza, con ideali lontani, non possiamo né dobbiamo assumerci l’iniziativa di una guerra, ma se la borghesia italiana, cui spetta la soluzione dei problemi nazionali, movesse contro all’Austria-Ungheria, noi — opponendoci — non faremmo che sacrificare il Trentino e giovare all’Austria-Ungheria, la quale — ciò va ricordato ai socialisti — è il baluardo vero e maggiore della reazione europea. Preti e gesuiti sono appunto «neutralisti» per amore dell’Austria vaticanesca e temporalista!”
Non solo il proletariato non deve opporsi alla guerra, ma è anch’esso chiamato alla difesa della nazione, un concetto che, lungi dall’essere superato, è cruciale anche per i socialisti:
“Se il concetto di «nazione» è «superato», se la difesa «nazionale» è un assurdo per i proletarî che non avrebbero niente da difendere, noi dobbiamo avere il coraggio di sconfessare i socialisti del Belgio e di Francia che dinnanzi all’invasione tedesca hanno confuso — temporaneamente, si capisce! — nella nazione la classe e dedurre di conseguenza che un solo socialismo v’è al mondo, genuino, autentico, purissimo: il socialismo italiano…. Ma è un atto di superbia, che per molte ragioni non ci conviene!”
La china verso cui si incammina Mussolini appare chiara. I riferimenti alla nazione, all’Italia, saranno del resto uno dei marchi di fabbrica del fascismo. Esplicitamente il direttore dell’Avanti! non prende ancora posizione apertamente in favore della guerra né contro il socialismo come teoria politica. Certo è che le argomentazioni dell’articolo suoneranno molto male a gran parte dei socialisti italiani – in parte, forse, anche a Gramsci – tanto che Mussolini poco dopo verrà espulso dal Partito.
Vale la pena citare anche la chiusa, carica di retorica:
“Ma tutto ciò dimostra che noi non possiamo «imbozzolarci» in una formula, se non vogliamo condannarci all’immobilità. La realtà si muove e con ritmo accelerato. Abbiamo avuto il singolarissimo privilegio di vivere nell’ora più tragica della storia del mondo. Vogliamo essere — come uomini e come socialisti — gli spettatori inerti di questo dramma grandioso?
O non vogliamo esserne — in qualche modo e in qualche senso — i protagonisti? Socialisti d’Italia, badate: talvolta è accaduto che la «lettera» uccidesse lo «spirito». Non salviamo la «lettera» del Partito se ciò significa uccidere lo «spirito» del socialismo!”
Neutralità attività ed operante di Antonio Gramsci
Il 31 ottobre del 1914, su Il grido del popolo, Gramsci scrive un articolo dal titolo Neutralità attiva ed operante. Nel testo l’autore sardo prova ad attenuare le critiche fatte da Angelo Tasca a Mussolini reinterpretando l’idea della neutralità attiva ed operante che il direttore dell’Avanti! aveva largamente trascurato.
Ai tempi dell’articolo, Gramsci è un giovane socialista sardo iscritto all’Università di Torino. Ha già pubblicato alcuni articoli per giornali locali in Sardegna, ma è questa la sua prima presa di posizione su un quotidiano nazionale.
Gramsci appare sin da subito orientato a un maggiore inquadramento delle argomentazioni di Mussolini all’interno del socialismo. Per prima cosa, infatti, reinserisce lo scivolamento nazionalista di Mussolini in una prospettiva più schiettamente socialista. Lo fa in modo acuto, specificando che i socialisti sono anche socialisti italiani, non solo socialisti in generale:
“E noi, socialisti italiani, ci proponiamo il problema: «Quale dev’essere la funzione del Partito socialista italiano (si badi, e non del proletariato o del socialismo in genere) nel presente momento della vita italiana?».
Perché il Partito socialista a cui noi diamo la nostra attività è anche italiano, cioè è quella sezione dell’Internazionale socialista che si è assunto il compito di conquistare all’Internazionale la nazione italiana. Questo suo compito immediato, sempre attuale gli conferisce dei caratteri speciali, nazionali, che lo costringono ad assumere nella vita italiana una sua funzione specifica, una sua responsabilità.”
E questa è in effetti l’unica concessione che Gramsci fa alle spinte nazionalistiche così evidenti in Mussolini. E’ un modo di intendere la questione su cui nessun marxista avrebbe da ridire.
Su un altro aspetto Gramsci reinterpreta la posizione del direttore dell’Avanti!. In Mussolini non è affatto chiaro chi sia il soggetto della neutralità, chi, cioè, debba essere neutrale. Negli articoli passati dell’Avanti! citati da Mussolini soggetto della neutralità è, con tutta evidenza, l’Italia. Ma nel resto dell’articolo del 18 ottobre la neutralità non è più quella della nazione, ma dei socialisti.
Gramsci chiarisce, in un significativo inciso tra parentesi, chi debba essere neutrale: il proletariato:
“Si badi, non è sul concetto di neutralità che si discute (neutralità, beninteso, del proletariato), ma sul modo di questa neutralità.”
Il proletariato è il soggetto rivoluzionario, non il PSI. Il testo di Gramsci è tutto orientato alla rivoluzione, a quale sia la scelta migliore nell’ottica dell’affermazione del proletariato, laddove invece il testo di Mussolini è più legato ad un ragionamento – quasi di strategia politica – relativo al PSI. Entrambi, comunque, si mostrano insoddisfatti del partito, anche al di là della linea politica attuale. Entrambi, del resto, ne fonderanno altri al termine della Prima Guerra Mondiale. Gramsci il PCI, nel gennaio del 1921, Mussolini il PNF, a novembre dello stesso anno.
Gramsci, fatte le due specifiche sopra ricordate, accoglie il discorso di Mussolini. La neutralità del proletariato non coincide perciò necessariamente con la neutralità della nazione, concetto quest’ultimo che in Gramsci ha il solo significato di campo storicamente e geograficamente determinato in cui i socialisti spingono per la rivoluzione in un’ottica internazionalistica.
La lunga citazione successiva, che testimonia quanto ora scritto, se letta alla luce degli esiti tragici della Prima Guerra Mondiale, sembra soffrire di un drammatico cinismo ideologico:
“Ma i rivoluzionari che concepiscono la storia come creazione del proprio spirito, fatta di una serie ininterrotta di strappi operati sulle altre forze attive e passive della società, e preparano il massimo di condizioni favorevoli per lo strappo definitivo (la rivoluzione) non devono accontentarsi della formula provvisoria «neutralità assoluta», ma devono trasformarla nell’altra «neutralità attiva e operante». Il che vuol dire ridare alla vita della nazione il suo genuino e schietto carattere di lotta di classe, in quanto la classe lavoratrice, obbligando la classe detentrice del potere ad assumere le sue responsabilità obbligandola a portare fino all’assoluto le premesse da cui trae la sua ragione di esistere, a subire l’esame della preparazione con cui ha cercato di arrivare al fine che diceva esserle proprio, la obbliga (nel caso nostro, in Italia) a riconoscere che essa ha completamente fallito al suo scopo, poiché ha condotto la nazione, di cui si proclamava unica rappresentante, in un vicolo cieco, da cui essa nazione non potrà uscire se non abbandonando al proprio destino tutti quegli istituti che del presente suo tristissimo stato sono direttamente responsabili.”
Bisogna, insomma, lasciare andare la classe detentrice del potere incontro al suo destino, farla finire nel vicolo cieco che essa si è creata: la guerra.
Gramsci sembra dare per scontata la sconfitta e il tracollo della borghesia di fronte alla prova della guerra, laddove Mussolini sembrava invece convinto che la guerra possa favorire – con una vittoria, presumibilmente – l’interesse nazionale.
Due posizioni assai diverse. Ma il pensatore sardo sembra convinto di muoversi in accordo con le “disorganiche considerazioni” di Mussolini:
“Né la posizione mussoliniana esclude (che anzi lo presuppone) che il proletariato rinunzi al suo atteggiamento antagonistico, e possa, dopo un fallimento o una dimostrata impotenza della classe dirigente, sbarazzarsi di questa e impadronirsi delle cose pubbliche, se, almeno, io ho interpretato bene le sue un po’ disorganiche dichiarazioni, e le ho sviluppate secondo quella stessa linea che egli avrebbe fatto.”
Gramsci ritiene che nel discorso di Mussolini ci sia qualcosa di “vitale” che meriti di essere conservato. E il riferimento sembra proprio essere alla mobilità del proletariato che non fermandosi ad una posizione predeterminata – la neutralità assoluta – mostri la sua capacità di lettura degli eventi al di là dei dogmi di partito.
“Io non so immaginare un proletariato che sia come un meccanismo al quale nel mese di luglio sia stata data la corda con la chiavetta della neutralità assoluta e che non possa essere nel mese di ottobre fermato senza che abbia a spezzarsi.
Si tratta di uomini, invece, che hanno dimostrato, specialmente in questi ultimi anni, di possedere un’agilità di intelletto e una freschezza di sensibilità quale la massa borghese amorfa e menefreghista è ben lontana dal solamente fiutare.”
Il giovane Gramsci non sembra comunque in nessun modo essere mussoliniano, tantomeno vicino al fascismo. In tutto e per tutto egli scrive come un rivoluzionario socialista. Si porta appresso, casomai, quella dualità tipica del marxismo che ricordavo prima: i richiami a non cadere in formule predeterminate, all’agilità d’intelletto e alla freschezza di sensibilità del proletariato, sono pienamente marxisti. Sono però anche pienamente marxiste sia l’idea che la storia debba andare necessariamente verso un certo fine, sia l’idea che la borghesia sia destinata al fallimento.
Uno scenario questo, come scrisse Calabrò [2016], di tipo escatologico. E in questo scenario anche la guerra mondiale può essere considerata semplicemente un passaggio utile verso l’obiettivo finale.
I due autori paiono quindi vicini nella critica della posizione di neutralità assoluta del PSI, ma anche del partito in generale.
Mussolini, tuttavia, introduce considerazioni sulla nazione estranee al socialismo che Gramsci rifiuta, provando a reinterpretarle. Il pensatore sardo mostra inoltre decisione e chiarezza, che Mussolini non ha, nell’identificazione del soggetto della neutralità. Questione che sembra rilevante perché il soggetto della neutralità è anche il soggetto rivoluzionario.
Sia le vicinanze che le distanze appaiono coerenti con i percorsi biografici di entrambi. La critica al PSI porterà gli autori a fondare due nuovi partiti. Entrambi nel 1921. Ma i due partiti saranno ben diversi.
L’intervento del giornalista sardo, in ogni caso, pur nel sostegno della posizione mussoliniana, va inteso come un intervento critico. Gramsci riteneva che alcune idee di Mussolini sulla neutralità, per quanto in contrapposizione col PSI, potessero far parte del marxismo rivoluzionario. Altre, invece, no.
In conclusione, il tentativo di Gramsci nell’articolo in questione pare essere quello di riportare Mussolini pienamente all’interno del pensiero socialista da cui il futuro duce si stava evidentemente allontanando, ricomponendo la frattura creatasi nel socialismo italiano.
Il tentativo fallisce. Purtroppo, forse.