Giuseppe Giacosa è una delle figure letterarie di fine Ottocento tra le più prolifiche, che ci ha lasciato moltissime commedie, drammi e collaborazioni per libretti d’opera davvero d’eccezione. Un’attività molto intensa per uno spirito versatile ed eclettico, che seppur all’inizio cercò di seguire le orme paterne nella carriera legale (ne scriverà egli stesso in “Memorie d’avvocato”), dedicherà poi tutta la vita alla sua vera passione: il teatro.
Giacosa frequenterà i salotti torinesi e stringerà amicizia con poeti e artisti del gruppo degli scapigliati sia piemontesi sia lombardi, quali Faldella, Camerana, Tarchetti, Praga, Sacchetti e Arrigo Boito, e anche con i grandi della musica del tempo, come Giuseppe Verdi e Giulio Ricordi.
I primi lavori teatrali di Pin (così veniva chiamato da familiari e amici) nascono da lunghi periodi di studio nella casa di famiglia a Colleretto Parella (diventato poi Colleretto Giacosa proprio in onore del suo illustre drammaturgo e librettista, lì nato nel 1847) e riprendono proprio le tematiche care alla scapigliatura.
Sarà proprio questa grande casa, chiamata “La Grande Arca”, che diventerà punto di ritrovo di moltissimi letterati dell’epoca e “punto di partenza e d’arrivo della scapigliata banda”, come racconterà poi Salvator Gotta. Tra i suoi primi lavori teatrali, dopo dei quali non si avrà più notizia del Giuseppe Giacosa avvocato, la scena unica “Al pianoforte”; la commedia in tre atti “Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia, non sa quel che trova”; l’opera teatrale in versi “Una partita a scacchi”; la commedia in prosa “La gente di spirito”; il proverbio in un atto “A can che lecca cenere, non gli fidar farina” (genere teatrale che in Italia si diffuse nella seconda metà del XIX secolo a seguito dell’influenza del teatro francese); la commedia “Storia vecchia; il volume “Scene e Commedie”. Diverse anche le sue opere rimaste inedite, come per esempio “Affari di banca”, messa in scena ma di cui l’originale non è stato mai trovato.
Una produzione davvero notevole lungo tutta la sua vita (da ricordare “Sorprese notturne”, “Acquazzoni in montagna”, “Il fratello d’armi”, “Luisa”, “Il filo”, “Il punto di vista”, “La tardi ravveduta”, “Diritti dell’anima”, “La scuola del matrimonio”), che si snoda tra commedie di argomento sociale, di ambientazione storica (“Il Conte Rosso” per esempio, incentrata sulla figura di Amedeo VII di Savoia), con influenze anche goldoniane (“Il marito amante della moglie” ne è un esempio), avvicinandosi sempre più al dramma borghese di carattere intimista. La poetica di Giacosa si focalizza infatti in particolar modo sulla rappresentazione della debolezza della classe borghese del tempo, su una quotidianità dimessa e sulla crisi della famiglia, in cui i personaggi svelano pian piano i loro tratti psicologici più complessi.
Grande il suo successo di pubblico (clamoroso addirittura per “Trionfo d’amore”, “Tristi amori” e “Come le foglie”, che vengono considerate le sue opere più riuscite), ma talvolta anche alcuni fiaschi piuttosto scottanti (“Teresa”, per esempio). Un periodo davvero fortunato per Giacosa vede Eleonora Duse come attrice in molte sue commedie, tra le quali “La zampa del gatto”, “La sirena”, “Resa e discrezione”, “L’onorevole Ercole Malladri”, quest’ultima tra le sue commedie pubblicate postume, assieme a “I figli del marchese Arturo”, “Intrighi eleganti” e “Gli annoiati”. Giacosa sarà professore a Torino all’Accademia delle belle arti, direttore e insegnante di letteratura drammatica all’Accademia dei Filodrammatici di Milano, sempre a Milano insegnante di recitazione e di letteratura drammatica al Conservatorio di musica, agente (e per qualche tempo anche direttore) della Siae per gli autori francesi. Incarichi, però, che terrà sempre per brevi periodi.
Molto spesso invitato a congressi letterari e conferenze (tra cui “La suggestione scenica”, in seguito pubblicata in “Conferenze e discorsi”), Giacosa collaborerà con diverse realtà del tempo, quali “Nuova Antologia”, il “Corriere della sera” e la “Gazzetta piemontese”, fino a diventare direttore de “La lettura”, la rivista mensile del “Corriere della Sera”. Oltre al libretto basato sulla sua leggenda drammatica “Una partita a scacchi”, musicata dal compositore Piero Abbà Cornaglia nel 1892, e all’oratorio “Caino”, per monsignor Lorenzo Perosi, datato 1898 e rimasto incompiuto, ecco avviarsi a partire dal 1893 la sua fruttuosa collaborazione con Luigi Illica per i celebri libretti dei melodrammi “Bohème”, “Tosca” e “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini, del quale resta una ricca corrispondenza con Giacosa.
Una collaborazione talmente proficua che, senza più Giacosa, quella tra Illica e Puccini si rivelerà, una collaborazione impossibile e, come lo stesso Illica ammetterà, non si sarebbe più potuta realizzare con altri. Anche se la sua attività principale sarà quella di drammaturgo, Giacosa sarà anche narratore, con raccolte di novelle, racconti e testi anche di saggistica ispirati alle bellezze della sua terra e di ispirazione verista (“Novelle e paesi valdostani”, “Genti e cose della montagna”, “Castelli valdostani e canavesani”, “Il Castello d’Issogne in Val d’Aosta “…).
Allo stesso tempo, anche la sua visione cosmopolita verrà espressa nei suoi scritti, come per esempio in “Impressioni d’America”, Paese che egli visiterà con la compagnia di Sarah Bernhardt per assistere alle prove a New York del suo “La Dame de Challant”, scritto in francese per la grande attrice e che poi egli stesso tradurrà in italiano come “La signora di Challant” per la Duse. Ultimo suo grande successo, la commedia “Il più forte”, scritta nel 1904, due anni prima della sua morte.