L’opera d’arte e lo spettatore

L’arte ci coinvolge tutti. Ci affascina come esseri umani e ci chiama a sé come “spettatori”.

Oggi in questo piccolo blog apro un nuovo “campo di battaglia”: il rapporto tra lo spettatore e l’opera d’arte.

spettatore

Il termine “spettatore” è in realtà un po’ gaglioffo. E’ infatti molto legato al “vedere” e ad un modo distaccato di rapportarsi alle opere. Ho pensato quindi di non utilizzarlo negli articoli che verranno sostituendolo con il termine “fruitore”, più ampio e meno connotato, anche se un po’ inusuale.

Come negli articoli precedenti mi lascio guidare (almeno per un po’) da alcuni libri di estetica analitica, due in particolare: La trasfigurazione del banale di Danto e Mimesi come far finta di Walton.

Bisogna riconoscere che molti nell’ambito dell’estetica analitica hanno sottolineato l’importanza del momento della fruizione nella spiegazione dell’arte. E’ uno dei meriti di questa corrente di pensiero che può fornire molti spunti interessanti anche se, per come vedo io il mondo, raramente convincenti.

In ogni caso: proverò a ricavare dai testi di Danto e Walton alcuni modi in cui si può fruire l’opera o l’evento artistico, senza la pretesa di completa esaustività.

L’arte del Novecento ha lavorato molto sull’importanza della ricezione e in ambito analitico, molte delle operazioni artistiche contemporanee sembrano ben presenti agli autori. Cercherò quindi di articolare questo rapporto sottolineando come alcuni temi emersi all’interno della riflessione analitica siano presenti anche nella concreta pratica artistica del Novecento.

Credo sia abbastanza importante provare a capire cosa significhi l’arte per noi, cosa accade quando siamo di fronte ad un’opera, perchè ci coinvolge o perchè la rifiutiamo.

Sento spesso lodare l’arte e la sua bellezza, a parole. Poi però vedo Pompei crollare per incuria. Non mi ha mai convinto chi di fronte ai tanti eventi vergognosi che hanno coinvolto il nostro patrimonio artistico si limita a puntare il dito contro questo o quel politico, contro questo o quell’altro amministratore incapace.

Certo, la classe dirigente di questo paese ha più volte dato prova di ignoranza, malafede e incapacità. Sono, per intendersi, parecchio arrabbiato anche io. Tuttavia quello che più conta, credo, è capire il pensiero che fa da sfondo all’incapacità politica e amministrativa. Sotto all’ignoranza di alcuni amministratori c’è la totale mancanza di comprensione del valore dell’arte, sotto alla malafede di chi lascia devastare il nostro patrimonio artistico c’è l’idea che tutto sommato “l’arte non si mangia”. No, in effetti banchettare con la Monna Lisa e Guernica potrebbe essere un po’ indigesto.

D’altronde perchè mangiamo? Per vivere, no?

Resto convinto del fatto che anche molti dei più assidui frequentatori di mostre e musei, in fondo, pensino lo stesso: “sì l’arte è bella però…”. E questo è un problema culturale, non amministrativo.

Allora questi articoli sono anche un modo per opporsi a questo andazzo. Un modo per provare a chiarire che l’arte per tutti noi può essere davvero importante.

Riprendo quindi il discorso di Walton. In Mimesi come far finta, il filosofo pone molta attenzione nel distinguere i «mondi dell’opera» dai «mondi del gioco». Dei «mondi dell’opera» ho già scritto qualcosa.
Aggiungo che la fruizione dei mondi dell’opera non è per Walton “asettica”, il fruitore entra in rapporto con questi mondi, gioca con essi. I mondi del gioco nascono proprio dal rapporto tra il fruitore e il «mondo dell’opera».
“La fruizione” – scrive Walton – “è partecipazione”.

La fruizione di opere d’arte è partecipazione

Il filosofo americano Kendall Walton dedica molte pagine del suo libro più noto, Mimesi come far finta, all’analisi delle modalità di fruizione delle opere d’arte da parte degli “spettatori”.

Walton utilizza in tutto il libro un linguaggio particolare; molte parole hanno spesso un senso differente rispetto a quello ordinario.

Le sue riflessioni a proposito della fruizione partono dalla distinzione tra i “mondi dell’opera” e i “mondi del gioco”.

Cosa sono i mondi del gioco e i mondi dell’opera?

Ho già pubblicato un articolo su quelli che Walton chiama i “mondi di finzione”. Secondo il filosofo le opere d’arte “creano” spesso dei mondi di finzione. Il film Avatar genera un mondo di finzione in cui è vero che esiste “Pandora”. Walton non ritiene però “vero” il termine adatto da usare quando si parla di questi mondi. In effetti, non è vero che esiste Pandora. Egli direbbe quindi che “è fittizio che esiste Pandora”, ossia: è vero, nel mondo di finzione generato da Avatar, che esiste una luna chiamata Pandora.

I mondi di finzione possono essere “mondi dell’opera” o/e “mondi del gioco”. Faccio un esempio.

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George Seurat, Una domenica pomeriggio sull’isola de La Grande Jatte, 1883-1885, The Art Institute (Chicago)

Quando Richard (un immaginario spettatore) “gioca” con La grande Jatte, diviene fittizio che egli sta guardando una coppia che passeggia. Questo non è fittizio nel mondo de La Grande Jatte, di cui chiaramente Richard non fa parte; è fittizio nel mondo del gioco che Richard istituisce con La Grande Jatte.

Questi due mondi non si sovrappongono mai completamente anche se possono avere in comune alcune verità fittizie, come d’altronde possono non averne affatto. Gli spettatori infatti giocano con le opere in modi molto particolari.

In un esempio limite, un caso assurdo, si può immaginare che uno spettatore stralunato ritenga che sia fittizio ne La Grande Jatte «un paio di ippopotami che sguazzano in una pozza di fango invece che una coppia a passeggio nel parco» [K. Walton, Mimesi come far finta, cit., p. 84].

In questo caso la distanza tra il mondo de La Grande Jatte e il mondo del gioco di questo spettatore sarebbe massima. Il gioco di questo spettatore non sarebbe autorizzato dall’opera, in quanto essa non ha la funzione «di essere un supporto in giochi nei quali fittiziamente degli ippopotami stanno sguazzando in una pozza di fango» [Ibidem].

Questa distinzione tra mondi del gioco e mondi dell’opera diventa molto importante nel momento in cui Walton scrive del modo con cui gli spettatori fruiscono le opere d’arte, nel sesto e nel settimo capitolo di Mimesi come far finta.

Partecipanti e semplici astanti

Secondo Walton, la partecipazione di un fruitore al gioco proposto da un’opera d’arte è per molti versi parallela al modo in cui i bambini partecipano ai loro giochi. Dopo aver messo in luce il territorio comune in cui si muovono sia i bambini che giocano che i fruitori di opere d’arte, traccerà le differenze tra queste due attività.

Egli comincia la sua argomentazione sottolineando la differenza tra chi “partecipa” al gioco e chi è un semplice “astante”.

A dire di Walton la condizione minima per partecipare ad un gioco è quella di «considerarsi vincolati a immaginare le proposizioni che in esso sono fittizie» [Ivi, p. 249]; gli astanti, che invece non partecipano, guardano dall’esterno il gioco, e non si considerano vincolati ad alcuna immaginazione. La conditio sine qua non della partecipazione si basa anche in questo caso su quelle che egli chiama «prescrizioni ad immaginare».

Bambini che giocano…

bambini-che-giocano
Bambini alla fontana, Scuola francese, Fine XVIII secolo.

Ovviamente però, il grado di partecipazione ad un gioco può essere anche molto maggiore di questo grado minimo. I bambini che giocano, ad esempio, sono sempre molto coinvolti e “presi” dalla loro attività. Secondo Walton essi sono anche dei «supporti riflessivi», ossia oltre a partecipare ad un gioco i bambini generano contemporaneamente delle verità fittizie intorno a se stessi e alle azioni che compiono.

Al contempo, oltre ad essere dei supporti riflessivi e, chiaramente, anche «coloro che immaginano», essi sono anche «oggetti di interesse per sé» [Ivi, p. 251]. Quello che Walton vuole dire con questa espressione è che, in questo gioco, quello che conta per i partecipanti sono loro stessi.

Uno dei benefici maggiori del giocare, secondo il filosofo americano, è proprio che attraverso il gioco si comprende qualcosa di sè. L’attività immaginativa che i bambini attivano giocando è spesso molto complessa ed ha un ruolo importante nello sviluppo e nella formazione dei bambini. In una altro passo di Mimesi Wlaton sottolinea i benefici delle attività immaginative, di cui possono godere anche i fruitori di opere d’arte:

E’ stato variamente suggerito che tali attività forniscano le opportunità di sperimentare ruoli che ci sono inconsueti, così da aiutarci a comprendere e a immedesimarci in persone che hanno quei ruoli nella vita reale e a sviluppare le abilità necessarie ad assumerli a nostra volta; che ci mettano a disposizione degli innocui punti di sfogo attraverso i quali dare espressione a emozioni pericolose o socialmente inaccettabili, o ci purifichino da quelle indesiderabili, o ci aiutino a riconoscere e accettare sentimenti che sono repressi o semplicemente inarticolati; che ci assistano nel risolvere conflitti e nel guardare in faccia tratti inquietanti o sgradevoli di noi stessi e delle situazioni in cui veniamo a trovarci; che ci facciano fare esperienza nell’affrontare quei tipi di situazioni che potremmo aspettarci di dover effettivamente fronteggiare; […] Quali che siano esattamente i benefici delle altre attività immaginative, sembra ci si debba aspettare che il fruitore che usa un romanzo o un dipinto come supporto in un gioco di far finta ne goda di analoghi.
[Ivi, pp. 317-318]

Fruitori di opere d’arte

Anche gli spettatori, partecipando al gioco proposto da un’opera, attivano delle modalità di relazione simili a quelle dei bambini. Anch’essi entrano in un “mondo”, non il mondo dell’opera, ma il mondo del loro gioco con l’opera. Anch’essi spesso sono dei supporti riflessivi, cioè generano delle verità fittizie attorno a loro stessi. Spesse volte i fruitori “fingono” di essere parte del mondo immaginario del gioco.

Grazie a questo modo di intendere la partecipazione Walton spiega alcune caratteristiche espressioni verbali che vengono pronunciate di fronte alle opere d’arte. Richard, ad esempio, di fronte ad un quadro con delle navi, potrebbe esclamare: «Guarda! C’è una nave!». Egli in questo modo finge di se stesso che stia vedendo una nave, quindi, nel mondo del suo gioco, è fittizio che egli veda una nave, ed in questo modo, come in molti altri possibili, egli partecipa al gioco proposto dall’opera. Quello di Richard è un esempio di «partecipazione verbale» ad un gioco di far finta.

Un modo per capire cosa avviene durante la fruizione di un’opera è quindi quello di pensare al fruitore come un partecipante ad un gioco.

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