Seppur fin da ragazzo Luigi Illica avesse la passione per il teatro (la sua prima esperienza sarà con l’atto unico “Hassan”), la sua vita prima dell’impegno come librettista fu piuttosto varia e avventurosa.
Spirito insofferente alla disciplina familiare, lo troviamo infatti già prima dei vent’anni a combattere come volontario al seguito dell’esercito russo-rumeno contro i Turchi nella battaglia di Pleven, e poi, tornato in Italia, avvicinarsi alla scapigliatura milanese, alla collaborazione con testate quali “Spartaco” (diretto dal cugino Carlo Mascaretti) e il “Corriere della Sera”, per poi fondare nel 1881 con Luigi Lodi e Giuseppe Brabanti-Lodano il quotidiano bolognese di ispirazione repubblicana “Don Chisciotte”, fino a scrivere la raccolta di prose brevi e poesie “Farfalle. Effetti di luce”.
È con la commedia “I Narbonnerie-Latour”, scritta assieme a Ferdinando Fontana e poi pubblicata nel 1885, che si apre per lui la strada verso il teatro che non lo abbandonerà per il resto della sua vita e che gli regalerà grandi successi e consensi di pubblico. La sua maggiore notorietà arriverà però quando inizierà la sua carriera nel teatro dell’opera, che lo farà diventare il librettista italiano più rappresentativo di fine Ottocento, inizio Novecento. Tra le sue prime opere “Il vassallo di Szigeth”, libretto scritto assieme a Francesco Pozza per Antonio Smareglia, e, come librettista autonomo, “La Wally” per Alfredo Catalani, dramma in quattro atti tratto dal romanzo di Wilhelmine von Hillern.
È da questo momento che per Illica inizia una lunga e ricca collaborazione con l’editore Ricordi, che gli frutterà opere davvero rilevanti. Il suo lavoro con Giacomo Puccini prende avvio dalla “Manon Lescaut”, libretto che ebbe parecchie vicissitudini prima di arrivare sul palcoscenico del Regio di Torino nel 1893, e al quale Illica prese parte seppur non comparendo inizialmente tra gli autori.
Da qui l’avvio della collaborazione di una triade d’eccezione formata da Illica, Giuseppe Giacosa e Giacomo Puccini, le cui opere ebbero un così straordinario successo grazie anche al mirabile libretto scritto dai due autori. In effetti, è a librettisti come Luigi Illica che il melodramma italiano deve buona parte del suo successo. E così ecco la “Bohème”, “Tosca”, “Madama Butterfly”, di cui conosciamo bene il grande valore e i cui libretti rappresentano i più famosi di Luigi Illica.
Dello stesso periodo, anche un altro suo lavoro ottenne uno strepitoso successo, stavolta pubblicato con l’editore Sonzogno anziché Ricordi: l’“Andrea Chenier”, quattro atti per la musica di Umberto Giordano, che ebbe la particolarità di non essere basato su un lavoro letterario, bensì su documenti storici. Il suo rapporto artistico con Puccini si interrompe alla morte di Giacosa nel 1906 e con un “inciampo” per un’opera storica su Maria Antonietta che, per volere del compositore stesso, non viene portata a termine. Il lavoro come librettista di Illica però prosegue spedito. Per Pietro Mascagni firma il libretto dell’“Iris”, di “Le maschere” (per la verità un fiasco clamoroso), di “Isabeau” (rivisitazione delle vicende di lady Godiva), raggiungendo un successo ormai internazionale.
Sua la firma di una settantina di libretti, tra i quali, oltre ai già citati: “I dispetti amorosi” e “La collana di Pasqua”, su musica di Gaetano Luporini; “La martire”, per Spyros Samara; “Cristoforo Colombo” e “Germania”, per Alberto Franchetti; “Nozze istriane”, per Antonio Smareglia, “Anton”, per Cesare Galeotti; “Lorenza”, “La Perugina” e “Mercadante” per Edoardo Mascheroni; “La fonte d’Enschir” e “Il principe Zilah”, per Franco Alfano; “La colonia libera” per Pietro Floridia, ; “Medio Evo latino” e “Aurora” per Ettore Panizza; Siberia, per Umberto Giordano; Errisiñola, per Louis Lombard, “Giuditta” e “Cassandra”, per Vittorio Gnecchi; Giove a Pompei, in collaborazione con Ettore Romagnoli, su musica di Alberto Franchetti e Umberto Giordano; Tess, per Frédéric Alfrede d’Erlanger; “Helléra” e “La nave” per Italo Montemezzi; “Il mare di Tiberiade” per Vittadini.
Uno spirito spiccatamente poliedrico e versatile, che attraverserà i generi più diversi, che si inserisce tra il verismo e il simbolismo, ma che si spingerà addirittura a scrivere libretti di fantascienza, come “Il 3001”, rimasto non musicato. Tra i suoi drammi in prosa: “Il conte Marcello Bernieri”; “La signora Leo Pascal”; “Herik Arpad Tekeli”; “Gli ibridi”; “Gli ultimi templari”; “Dramma e melodramma”, in collaborazione con Gerolamo Rovetta; “I diritti dell’amore”; “La sottoprefettura di Roganecca”. Tra le commedie dialettali, “L’eredità del Felis” e “L’anima di un alter”. La sua vena avventurosa e il suo temperamento da sempre ribelle lo porteranno, ormai a cinquantotto anni, di nuovo ad arruolarsi, stavolta volontario nella Prima guerra mondiale, ma ben presto, a causa di un incidente, tornerà nella sua tenuta del Colombarone a Castell’Arquato, presso Piacenza, dove era nato nel 1857 e dove morirà nel 1919.