Il movimento della Beat Generation

Il primo a parlare di “beat generation” nel 1948 è lo scrittore statunitense Jack Kerouac durante una conversazione con lo scrittore e poeta Herbert Huncke. Sarà poi dalle pagine del “New York Times” che questa espressione inizierà a diffondersi all’inizio degli anni Cinquanta per mano del poeta John Clellon Holmes per indicare il movimento letterario sorto tra New York e San Francisco intorno a narratori e poeti quali appunto Kerouac, William S. Burroughs, Allen Ginsberg (autore del celebre “Urlo”, considerato il manifesto della beat generation), Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso, Peter Orlowsky, Neal Cassidy (personaggio fondamentale in “Sulla strada” di Kerouac, il libro che diventerà una sorta di modello di vita che ispirerà tante generazioni successive).

Un movimento giovanile che emerge dalla controcultura hipster e che subito si manifesta come di rottura, di ribellione contro la borghesia e di rifiuto dei valori convenzionali, conservatori, consumistici e materialistici della società americana. Nasce un nuovo stile esistenziale che tende a una vita comunitaria, anticonformista, alla ricerca di nuove forme di espressione in ogni campo artistico che trae ispirazione dalla poesia di Whitman, Blake, Rimbaud, dai pensieri di Ralph Waldo Emerson e di Henry David Thoreau, dalla “lost generation” descritta da Ernest Hemingway, dalla musica (il jazz di Charlie Parker, soprattutto) e da tutto ciò che nasce dalla spontaneità e dall’improvvisazione e che può essere riportato in happening ed eventi dal vivo.

musicista al pianoforte

Libertà sessuale, vita vagabonda, uso di alcool e di droghe, viaggi fisici e mentali, non certo ben visti dalla società borghese e puritana, diventano simboli e strumenti di esplorazione e di liberazione. Inoltre, un nuovo campo di interesse da cui trarre insegnamenti e ispirazione per una nuova coscienza collettiva: l’avvicinamento alle culture orientali, alla meditazione, alle pratiche spirituali. Di qui il molteplice significato che acquisisce il termine “beat”, che oltre a “battuto” (nel senso di “sconfitto”, “disilluso” dalle costrizioni della società), di “battito” e di “ritmo”, inizia anche a essere inteso come “beatific”, ovvero “beato”, “illuminato”, “elevato spiritualmente”. Una generazione, quella beat, che soprattutto a seguito di eventi come la guerra del Vietnam e consuete situazioni di disparità di genere e di discriminazione (raziale, ma anche in base all’orientamento sessuale), ha preso poi connotati pacifisti, non violenti, antimilitaristi, di liberazione della donna, stimolando la nascita del movimento hippie e di tutta quella “controcultura” espressa per esempio nel fenomeno socio-culturale del Sessantotto, che trova proprio nella beat generation le sue radici.

Un movimento che spesso viene associato alla violenza, all’abuso di droga, al vandalismo, quando lo spirito che animava la generazione beat era piuttosto quello dell’accettazione, della ricerca di sé, della spiritualità, di armonia e di aggregazione. Un fenomeno partito dagli Stati Uniti, ma che ha interessato poi anche tutti i maggiori Paesi europei, Italia compresa, dove sarà Fernanda Pivano, verso la metà degli anni Sessanta, a introdurre la poesia della beat generation con le sue magistrali traduzioni degli autori più rappresentativi.

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