Le geometrie automatizzate di Dmitri Cherniak

Canadese, ingegnere, nato nel 1988 e oggi di base a New York, fin da piccolo appassionato di disegno e illustrazione, laureatosi poi in fisiologia e informatica presso la McGill University di Montréal, Dmitri Cherniak ha iniziato a interessarsi di criptovalute nel 2014. Da lì in poi ha continuato il suo viaggio nel digitale creando algoritmi per produrre NFT archiviati su Ethereum attraverso la piattaforma di arte generativa ArtBlocks, dove nel 2019 è uscita la sua prima opera: “I am but a vessel”.

Questi i primi passi del rinomato artista che è diventato oggi tra i più conosciuti nell’arte NFT, quotati e presenti nelle più importanti gallerie e musei di tutto il mondo, quali il LACMA, Art Basel, CADAF e ZKM Karlsruhe.
Le sue opere si concentrano su geometrie automatizzate dai colori prevalentemente brillanti (alcune anche in bianco e nero), ognuna con una combinazione diversa, che nascono da un processo creativo che utilizza programmi informatici per generare automaticamente opere d’arte, realizzando quell’affascinante connubio tra arte e tecnologia che si colloca tra arte concettuale, arte digitale e arte generativa che ha guadagnato sempre più popolarità negli ultimi anni grazie agli sviluppi nel campo della programmazione e della grafica computazionale.

Uno degli aspetti più affascinanti delle geometrie automatizzate è la loro capacità di creare strutture complesse e dettagliate, difficili, se non impossibili, da realizzare fisicamente. In questo modo gli artisti possono esplorare una vasta gamma di forme geometriche, dalla semplice ripetizione di forme base fino alla creazione di strutture davvero complesse, offrendo un’ampia gamma di possibilità espressive. Particolarmente nota la serie “Ringers”, introdotta su ArtBlocks nel 2021 (e andata esaurita nei primi venti minuti…) formata da mille NFT con combinazioni di layout di corde e picchetti ispirata a un volume di graphic design degli anni Sessanta. Tra le altre spiccano “Eternal Pump”, suggestiva raccolta di cinquanta opere dinamiche ad anelli concentrici lanciata nel 2021; “The difference between the subtleties and the subtle ties”, venduta nel 2022, in cui il caos di forme e colori simulano il vitale processo della divisione cellulare; l’evocativa raccolta “Light Years”, formata da cento opere, ispirata al lavoro del pittore e fotografo pionieristico ungherese Moholy-Nagy, esponente del Bauhaus, presentata nel 2022 alla mostra internazionale di fotografia di Parigi.

Un atto creativo, quello di Cherniak, spesso al centro di critiche e polemiche, come tutta l’arte generativa del resto, per la quale ci si chiede quanto sia l’artista a creare rispetto alla macchina, se la tecnologia possa considerarsi creativa e l’automazione non solo un atto meccanico, e quanto le opere realizzate in questo modo essere considerate arte. Ciò che oggi sembra reso evidente dall’interesse che ruota attorno a questo fenomeno è che l’arte algoritmica sia da considerarsi una forma d’arte a sé stante, nella quale l’automazione gioca un ruolo fondamentale. Proprio l’automazione per Cherniak è il mezzo artistico che gli permette, attraverso l’uso di un software personalizzato che crea in pochi secondi un gran numero di combinazioni, di esprimersi. Nel suo caso e in quello di altri artisti generativi del suo calibro, questo è un processo che richiama collezionisti da tutto il mondo, facendo salire le quotazioni in modo vertiginoso (per fare un esempio, il suo Ringers #109 è stato venduto per 7,1 milioni di dollari).

Una produzione ipnotica, insolita, innovativa, dal design minimalista, dal forte impatto visivo, per la quale si è ispirato ad artisti quali Mondrian (la raccolta “Ringers” ricorda molto il “De Stijl” olandese dei primi decenni del Novecento), Kandinsky, Vera Molnár e Manolo Gamboa Naon. Lui stesso dice di aver sempre mirato a ricreare nello spettatore quelle emozioni generate dall’arte “fatta a mano”, attuando un’attenta ricerca stilistica personale e partendo da intuizioni tecniche creative. “Ringers” stessa è nata dalla sperimentazione di avvolgere una corda ad anello attorno a dei picchetti circolari. Una “generazione di arte” che, come crede fermamente Cherniak, si sviluppa in opere che sono produzioni creative a cui partecipa sia il codice del computer sia lui stesso con il suo output.

Nonostante l’impiego della tecnologia, Cherniak cerca infatti di mantenere la componente umana nel suo lavoro. Per fare un esempio, ogni pezzo di “Ringers” è determinato da caratteristiche fornite da lui stesso al software, quali il layout, il numero di picchetti, le dimensioni, il colore, lo sfondo, l’impiego di colore extra, lo stile e l’orientamento di avvolgimento della corda attorno ai picchetti. Un lavoro che lo vede collaborare oggi con altri importanti artisti digitali, impegnato a far entrare l’arte generativa in mostre, musei e gallerie, in quanto anch’essa parte del “regno creativo”, e continuare a lavorare e a esplorare le potenzialità dell’arte generativa e la sua evoluzione.

Un lavoro, quello di Dmitri Cherniak, che dimostra che arte e tecnologia non sono entità separate, bensì interconnesse e complementari. Egli infatti unisce arte e automazione in un intreccio espressivo, una fusione unica tra intuizione creativa e precisione computazionale, sfidando i confini convenzionali e aprendo nuove prospettive sul ruolo e il potenziale dell’automazione per plasmare nuove realtà artistiche. Una personalità, la sua, che senza meno ha determinato una tendenza e uno stile e che ha avuto un grande impatto sullo sviluppo dello stile generativo, facendolo diventare uno degli artisti di riferimento tra i più richiesti nel campo dell’arte digitale.
Tutto ciò fa riflettere sulla nostra era digitalizzata e ridefinisce la tradizionale visione dell’arte e della sua creazione.

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