Monroe C. Beardsley: una definizione funzionale di arte

In uno dei post sulla definizione di arte, abbiamo segnalato un articolo di Stephen Davies molto utile per chiarire la differenza tra definizioni procedurali e funzionali. Un esempio di definizione procedurale di arte è senza dubbio quella data da George Dickie. Una definizione di tipo funzionale è invece, sempre per fare un esempio, quella data da Monroe C. Beardsley, altro filosofo che ha avuto un ruolo importante nell’estetica analitica contemporanea.

arte astratta

In questo articolo segnaleremo alcuni aspetti importanti della definizione da lui proposta basandoci sul testo, “La definizione delle arti [Beardsley, Monroe C., The Definitions of th Arts, in «The Journal of Aesthetics and Art Criticism», 20, 2, 1961, pp. 175-187; trad. it. di Alfonso Ottobre, Definizioni dell’arte, in Kobau, Pietro; Matteucci, Giovanni; Velotti, Stefano, a cura di, Estetica e filosofia analitica, il Mulino, Bologna 2007)].

L’orientamento prevalente di Beardsley, ossia il non voler definire le opere d’arte al di fuori di una esperienza estetica, traspare chiaramente da un neologismo che introduce, quello di “oggetto estetico“:

A me sembra utile che l’estetica disponga di un termine generico per contrassegnare, sebbene non precisamente, gli oggetti che rientrano nel suo campo di interesse. E forse, adeguatamente qualificato, il termine «opera d’arte» potrebbe andar bene. Tuttavia, a mio avviso, esso deve sopportare delle stranezze che lo rendono insoddisfacente per certi scopi filosofici, e faremmo quindi meglio a scegliere un termine differente, poniamo un neologismo come «oggetto estetico». […] Assumo che tutte le composizioni musicali sono oggetti estetici, così come le opere d’arte plastica ecc. Ovviamente si tratta di un elenco incompleto. Il suo scopo è quello di spostare l’attenzione da una domanda ampia, che si è dimostrata difficile da maneggiare, a domande più specifiche che offrono maggiori speranze e sulle quali non ci si è soffermati abbastanza.
(Ivi, p. 34)

Il passo citato, oltre a chiarire il significato di “oggetto estetico”, introduce la strategia teorica che Beardsley adotta nel saggio, ossia quella di analizzare le varie arti cercando di metterne in luce eventuali caratteristiche comuni. Beardsley è convinto del fatto che le arti abbiano effettivamente delle caratteristiche comuni.

Nel saggio preso in esame, Beardsley inizia la sua trattazione domandandosi quali “opere musicali” possano essere considerate degli oggetti estetici. Si tratta in pratica di una versione più semplice, più debole, di una domanda tradizionale: quando un’opera può essere considerata un’opera d’arte?

Come condizione necessaria per poter parlare di “oggetto estetico”, un’opera musicale deve, a dire di Beardsley, possedere un certo grado di “coerenza” e di “completezza. Questi due concetti sono presentati da Beardsley in riferimento alla musica; successivamente il filosofo allargherà il campo di applicazione di questi due concetti alle altre arti.

Sempre riferendoci a questo saggio, potremmo sintetizzare dicendo che la riflessione di Beardsley parte dall’analisi della musica e da tale analisi ricava due concetti, la coerenza e la completezza, che ritiene debbano essere necessariamente presenti in un opera musicale affinchè tale opera possa essere considerata un oggetto estetico. Successivamente il discorso viene allargato alle altre arti.

Ecco le parole di Beardsley sulla coerenza e la completezza in musica:

Qual è la differenza tra una melodia e una semplice sequenza di note? E’ difficile da descrivere, ma facilmente udibile: una melodia è una sequenza di note che si uniscono in un percorso, con una tendenza e una direzione, sufficientemente interdipendenti da creare una singola entità in movimento attraverso lo spazio e il tempo uditivo. Non è una mera successione ma un movimento, con le sue proprietà cinetiche. […] Questo movimento è la coerenza di base che costituisce il fattore distintivo della musica. Ma ciò che chiamiamo una «composizione musicale» propongo, è una porzione di musica che abbia anche un grado percepibile di completezza: che sia in qualche modo autosufficiente, capace di generare il suo proprio impeto e di giungere alla sua propria conclusione.
(Ivi, pp. 40-41)

La teoria di Beardsley assegna quindi un ruolo centrale all’estetica, a differenza della definizione di arte di Danto e della teoria istituzionale di Dickie.

Quanto al successivo allargamento di questi due concetti alle altre arti, Beardsley si servirà di un ragionamento molto curioso di cui avrò modo di parlare in un altro post.

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